8 Ago 2016
“I WISH” (JAP. 2011) DI HIROKAZU KOREEDA – L’infanzia come luogo dei desideri
AG.RF 08.08.2016 – Hirokazu Koreeda è un affermato regista giapponese contemporaneo, sicuramente uno dei più originali e stimolanti per il tipo di tematiche che affronta nel suo cinema e per la grande capacità di utilizzare in maniera disinvolta il mezzo cinematografico per piegarlo al racconto di storie intimiste e profonde.
Dopo una lunga esperienza da documentarista per la televisione, inizia una carriera cinematografica ricca al momento di otto lungometraggi, che portano avanti con coerenza alcuni temi scabrosi, che fanno discutere, sulla società giapponese. Prima di tutto il suicidio, vera e propria piaga sociale di una parte della società nipponica. Al tema del suicidio è dedicata la sua opera di esordio, “Maboroshi no hikari” (1995) e il suo terzo lavoro, “Distance”, ove il regista si sofferma sul suicidio di massa da parte dei membri di un culto religioso. Il film è chiaramente ispirato ad una vicenda realmente accaduta in Giappone.
Ma, a parte il suicidio, il regista tratta altri temi quali il confine tra la vita e la morte, l’infanzia come regno della spontaneità e dei sentimenti più autentici, l’abbandono, e in generale l’intimismo che, col passare del tempo è diventata una autentica cifra stilistica dei suoi film.
“I wish” è l’ottavo lungometraggio del regista e in questo caso il tema è l’infanzia. E’ un periodo della vita che, come abbiamo affermato, viene visto dal regista come il regno della autenticità, ma, aggiungiamo, anche dei sogni e dei desideri. Il titolo del film “I wish” fa perno proprio sui desideri tipici del periodo infantile. Non c’è bambino infatti che non desideri qualcosa d’altro rispetto a ciò che ha o rispetto alla situazione nella quale si trova.
E’ la storia di due fratelli, molto uniti, che le vicende famigliari (la separazione dei genitori) irrimediabilmente separa. Infatti Koichi , il più grande dei due, e viene destinato alla madre, che vive coi propri genitori a Kagoshima, mentre il secondo, Ryunosuke, sceglie di seguire il padre a Fukuoka. In pratica vivono quasi ai due estremi dell’isola di Kyushu. I due fratelli hanno caratteri diversi: è Koichi, più riflessivo e più “adulto” dei due, a sentire maggiormente la mancanza dell’altro. E in modo speculare cogliamo anche la diversità dei due coniugi separati. La madre, con la quale il fratello maggiore vive, soffre maggiormente della situazione; appare la più adulta dei due; sente tutto il peso e il danno verso i figli. Il padre invece è un cantante rock un po’ spiantato, che si accontenta di lavori temporanei, in attesa di un successo nel campo della musica che probabilmente non arriverà mai.
I due fratelli si mantengono in contatto attraverso il telefono: è quasi sempre il più grande a cercare il piccolo! Ma quasi miracolosamente viene inaugurata la nuova linea di treni superveloci che uniscono i due capi dell’isola e quello che prima sembrava impossibile ora diventa molto più facile. E’ possibile per i due fratelli incontrarsi e trascorrere una giornata insieme, marinando la scuola con qualche stratagemma.
La preparazione dell’incontro e poi l’abbraccio tra i due fratelli è uno dei passaggi più avvincenti del film: ciascuno dei fratelli si presenta all’appuntamento con i propri amici più cari e fidati. Alla fine è un gruppo di ragazzini quello che si incontra e che sarà protagonista di qualche ora di piacevole avventura .
L’incontro è un desiderio che si realizza. Ma ciascuno dei ragazzi ha desideri più ampi e radicali. In particolare Koichi desidera che il vulcano che sovrasta Kagoshima, e che riempie continuamente di polveri il paese, possa con la sua lava un giorno sommergerlo, da renderlo inabitabile, in modo che i due fratelli siano costretti a vivere nello stesso luogo o più vicini l’uno all’altro. Il segreto per la realizzazione dei desideri? Urlarli a squarciagola mentre passa un treno. E’ quello che fanno tutti i ragazzi che si incontrano durante la gita clandestina, in un’altra delle scene memorabili dell’opera di Hirokazu Koreeda.
Il regista dimostra con questo film, ancora una volta, di essere uno dei più attenti al mondo dell’infanzia dell’intero panorama del cinema giapponese. Eppure questo film non è esente da qualche difetto, soprattutto nella debole presenza di pathos e di dialettica nei personaggi, forse fin troppo coerenti e tesi alla realizzazione dei propri scopi e desideri, che alla fine non trovano mai veri ostacoli. Forse tutto troppo facile. Insomma il film è realizzato con piglio troppo ottimistico.
Proprio il contrario di un altro capolavoro di Hirokazu Koreeda, “Nobody Knows”, premiato nel 2004 a Cannes, ove il regista punta su uno stile fortemente realista e sui drammi della solitudine e dell’abbandono di un gruppo di quattro fratelli, costretti a scoprire il mondo, col bene e soprattutto col male che esso riserva. Il film trae spunto da una storia vera e rappresenta forse il punto più alto, finora, della cinematografia del regista. Su questo film va apprezzata una nota critica molto profonda di “Concrétisation – Los Angeles”, dal titolo “Real Cinema:Bazin and Hirokazu Koreeda’s Nobody Knows” che lo individua come la piena realizzazione delle teorie neo-realiste di Andre Bazin. L’interesse di questa nota ci ha convinti sulla opportunità a riportarla sul nostro Blog (http://wp.me/p3zdK0-1mE) per le validiità delle argomentazioni, per il modo col quale vengono offerti originali spunti di riflessione e per la sottolineatura della grande importanza del realismo di Hirokazu Koreeda, paragonato ai grandi neo-realisti italiani.
Fonte: rivegauche-filmecritica.com