Di Maria Michela D’Alessandro (AG.RF. 29.03.2015) (river flash) – Con la cultura si mangia; con la cultura non si mangia; la cultura si mangia. Un semplice gioco di parole, una figura retorica o una citazione di un politico di qualche anno fa? Con la cultura non si può mangiare, è un lusso che non ci si può permettere nei momenti di crisi: dall’allora ministro dell’economia e delle finanze Giulio Tremonti alla dichiarazione di un paio di mesi fa del presidente americano Barack Obama che, scusandosi poi con gli studenti, parlando di disoccupazione si era pronunciato “negativamente” nei confronti della storia dell’arte, non è cambiato poi così tanto. In quell’occasione il capo della Casa Bianca si riferiva al mercato del lavoro e al fatto che i giovani non sono obbligati ad uno studio superiore ma potrebbero aprirsi anche a percorsi di specializzazione mirati ad introdurli nel mercato del lavoro anche senza una laurea, soprattutto in storia dell’arte. Le scuse dei politici ed economisti italiani non sono mai arrivate agli studenti che hanno messo la storia dell’arte al centro dei loro studi e che con la cultura ci continuano a mangiare.
Se è con le parole che si può immaginare, giocare, costruire storie con cui sognare, Bruno Arpaia e Pietro Greco hanno trovato il modo giusto per parlare dei luoghi comuni sulla cultura e quello che l’economia leva dal piatto alla cultura proprio mettendo nero su bianco le loro idee: una forchetta che cerca di prendere un apostrofo mangiucchiato è la copertina del loro libro “La cultura si mangia” che, come i due giornalisti spiegano, sono quegli aspetti «che tutti insieme concorrono a generare “l’ambiente adatto all’innovazione” e le forze da attivare se vogliamo uscire in positivo dalla crisi elaborando un progetto complessivo e una visione d’insieme per l’Italia, per portare il Paese fuori dalle secche del declino e dentro l’economia (democratica e sostenibile) della conoscenza».
Se però in un questionario sottoponessimo un campione che miri a rappresentare cosa pensa quella parte di popolazione nei confronti della cultura, sarebbe divertente ma allo stesso modo interessante scindere le due parole, mangiare e cultura, per capire quale sarebbe la più importante. Un verbo la prima, sostantivo la seconda; indagare sulla vita di queste parole aiuta a scoprire che il loro accoppiamento non è poi così casuale: il termine italiano cultura riprende la parola latina cultura derivata dal verbo colere che significa coltivare e dal quale proviene anche la parola, italiana, agricoltura. Il sostantivo latino cultus, tratto dal participio passato del verbo, oltre a significare il coltivare, presupponeva anche la cura per qualcosa, e la devozione verso gli dei, culto appunto, quanto la coltivazione degli esseri umani, in particolare dei più giovani e della loro educazione. Da quest’ultima accezione del termine viene il valore di cultura come oggi viene inteso, come complesso di conoscenze, tradizioni e saperi che, invece di essere messe in discussione andrebbero coltivate. Molti cibi che oggi troviamo sulle nostre tavole vengono coltivati, ed è qui che i due termini si incontrano in connubio, quasi fosse un convivio indissolubile. Lo pensa anche l’attuale ministro dei beni e delle attività culturali Dario Franceschini che paragona la cultura a quel metallo prezioso dell’oro da sempre miniera di ricchezza. Lo scorso ottobre 2014 il decreto cultura diventava legge con la presenza “anche in Italia di strumenti fiscali adeguati per sostenere la cultura e rilanciare il turismo” aveva dichiarato il ministro, aggiungendo, “questa legge abbatte due barriere: quella del rapporto tra pubblico e privato e quella della separazione tra la tutela e la valorizzazione che per troppo tempo hanno monopolizzato il dibattito italiano. […] è arrivato il momento di investire”. Nei musei italiani i numeri sono cresciuti, solo nel 2° semestre 2014 infatti il numero dei visitatori nei luoghi della cultura statali è aumentato di circa 1.300.000 unità (+6,4%), l’aumento degli ingressi gratuiti è stato di 350.000 unità (+ 3,6%) ma è nella crescita degli introiti che si registra il dato più rilevante, con un aumento di circa 6.300.000 euro (+9%). Dati che lasciano un sorriso sulle bocche di chi è abituato a mangiare apostrofi e opere d’arte.
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