8 Ago 2013
UN DIVANO SUL PACIFICO: MADAM TUTT’UN’ALTRA STORIA (parte 4)
Di Giulio Ranzanici (AG RF 08.08.2013)
(riverflash) – Fu una notte d’inferno. Avevo dispiegato la branda da campo prestatami da Billy nell’unica postazione libera del soggiorno, a fianco del divano destinato a Guenda. La quale, non appena ne prese possesso, più che dormire morì o così sembrò dato che non la udii emettere suoni, nemmeno quello del respiro. Morì, finché all’alba per un istante risorse. Dal suo coma oscuro proferì: Davvero vuoi sposare un uomo, Augustarello? E come chiamerete il bambino?
La notte fu preceduta dalla buonanotte. Madam si infilò in bagno per prima e vi si rinserrò per due ore buone animata da un così protervo istinto di occupazione da farmi pensare a un esercito dispiegato su terra straniera, la mia. Quando si decise a lasciarlo, raggiunse la sua camera da letto (la mia) in compagnia di Arturo – non una parola di commiato, un grazie, un buonanotte, un vaffanculo a tutti.
Scortai Guenda in bagno. Di lavarsi non ne volle sapere, sicché dei suoi denti – solo di quelli – mi presi cura personalmente, spazzolandoli come fossero miei. Poi la sostenni fino al sofà dove tentai inutilmente di liberarla dei vestiti e delle cuffie con gli Uriah Heep. Crollò sul divano, crollò nel sonno con la letale istantaneità di chi viene travolto da un tir.
Mi misi al computer con l’idea di proseguire il racconto. Ma il peso dei sei gamberoni imperiali alla piastra in salsa thai impastati con le emozioni della giornata mi liquefaceva i pensieri come una colata di piombo riversata nel cervello. Concentrarmi era impossibile. Passai a facebook. Spiai il diario di Madam. La sua foto del profilo la ritraeva frontalmente. Indossava una specie di sofisticata bandana variopinta con occhiali scuri Gucci dalla montatura aurea. Sullo sfondo si vedeva un panfilo bianco e blu all’ormeggio in un fazzoletto di mare turchese. Madam guardava dritta nell’obiettivo: m’incantai sui misteri del tempo che rendono la vita prevedibile soltanto da una postazione futura, in una visione retrospettiva delle cose. Il suo collo diritto non dava segni del cedimento che l’avvenire gli avrebbe inesorabilmente inferto. Fu allora che una scintilla scaturita dalla fusione di piombo e gamberoni appiccò il fuoco a un’accozzaglia di idee che – lì per lì – mi parvero ottime. Una in particolare era in odore di eccellenza. A causa di una mutazione genetica dovuta alla propensione per il cannibalismo di cervelli umani, i Lucrox di seconda generazione avrebbero avuto, tutti quanti, la testa bloccata a sinistra. La nemesi dello scrittore cui gli Dei hanno concesso il privilegio di crocifiggere su carta, come farfalle da collezione, i propri nemici. O di cacciarli all’inferno, come l’Alighieri.
E ora eccola qui, Madam, transvertebrata nella sua puzzolente pelliccia nera e fulva, un solo occhio malvagio e quella sua stupida testa orribilmente irrigidita a sinistra vita natural durante. In uno stato di vendicativa esaltazione, buttai giù qualche paragrafo con la sensazione di comporre un capolavoro dantesco o giù di lì. Quando alcuni minuti dopo rilessi il tutto, ebbi un conato di vomito all’acido fenico, chiusi Word senza salvare, e tornai a facebook trovando nei post pubblicati facile conforto alla mia idiozia.
Spensi, poco dopo, la luce dell’angolo studio del soggiorno e mi buttai sulla branda. Cinque traversine costituite da sottili tubi di metallo la rendevano ripiegabile per la comodità del soldato e inutilizzabile per il riposo del guerriero asservito, quale in effetti ero, prigioniero a casa mia. La posizione di ciascuna traversina sembrava studiata per garantire il massimo disturbo con il minimo sforzo. Per goderne i benefici era sufficiente sdraiarsi, non occorreva altro. Le traversine lavoravano all’unisono per premere a un tempo sulle vertebre cervicali, sulle lombari, sui femori, sulle ginocchia e sulle caviglie.
Dovevo dormire. Dovevo finire il racconto. Dovevo accendere la lavatrice dei pensieri creativi e spegnere quella dei pensieri reali – la consegna del racconto, i debiti, Guenda, Madam, ecc. Mi tirai su, riaccesi la luce dell’angolo studio e mi misi a frugare nel beauty dei medicinali di Guenda a caccia di un sonnifero. Scatole e flaconi multicolori di ansiolitici, antidepressivi, sonniferi, psicofarmaci, modulatori dell’umore e barbiturici mi passarono rapidamente in successione da una mano all’altra. Un mercato clandestino di droghe legali. Prescritte. Gettai un’occhiata in direzione di Guenda avvolta nelle tenebre. Ributtai tutto nel beauty e tornai alla branda. Provai a mettermi di pancia e poco dopo, dicendomi che avrei passato la notte in bianco, mi addormentai.
Mi svegliò, più tardi, un rumore, qualcosa raspava nell’oscurità. Mi alzai e aguzzai l’udito. Lo sfregamento proveniva dalla camera di Madam. Con cautela dischiusi la porta. Arturo balzò fuori. Richiusi la porta e per un istante pensai che quello era il momento per liberare la Terra dalla sua presenza invasiva. Il minuscolo, sadico alieno. Il catarrino eiettato dalle fauci dell’universo.
Mi chinai, invece, su di lui. Cosa c’è, Arturo, cosa c’è? dissi. Si precipitò alla porta d’ingresso. Ah, vuoi uscire, piccolo. Bravo, bravo, va a fare i bisognini e poi torna subito qui, mi raccomando. Aprii la porta. La luna quasi piena m’investì con la luce di un faro. L’aria era calda. Le chiome scure delle palme dondolavano nella brezza maestose come nere comete. Gherardo non sbagliava quando chiamava Ko Samui God Samui.
Qualcosa di velocissimo in basso a destra, come un pallone scagliato dal piede di un campione, intercettò il mio campo visivo. Stentai a credere che fosse Arturo, un attimo prima era ai miei piedi e ora eccolo là che galoppava girando in tondo attorno a casa di Billy. Senza provare a chiamarlo indietro, richiusi la porta. Qualcuno almeno si stava divertendo.
Si divertì, in effetti, il piccolo mostro. Grattò alla porta poco dopo. Sotto i raggi di luna i suoi occhi cisposi sembravano sorridere. Tra le mandibole stringeva una gallina morta. Di Billy. Lo tirai dentro e gli strappai il cadavere dai denti. L’aveva soffocata. In fretta e furia pensai a dove nascondere il corpo del reato. Alla fine lo riposi in bagno, nell’armadietto a incasso sotto il lavabo. Poi presi in braccio l’assassino e in punta di piedi lo portai fino alla porta della stanza di Madam. Lui si infilò uggiolando nello spiraglio. Madam bofonchiò: Sei tu, amore mio?
Una nuova catastrofe si profilava all’orizzonte. Conoscevo l’ira funesta di Billy, non aveva nulla da spartire con l’ira letteraria di Achille. Una volta l’avevo visto atterrare un bufalo inferocito con un pugno tra le scapole. Il bufalo si era ripiegato sulle zampe anteriori con la grossa testa ciondoloni. Era rimasto lì, stordito, con gli occhi annebbiati a fissare il vuoto. Poi si era tirato su e muggendo mestamente se n’era tornato da dove era venuto.
Mi rianimai. All’alba, mi dissi, avrei sistemato tutto. Avrei portato la gallina in spiaggia. Ci avrebbero pensato i cani. Non proprio selvatici, ma neanche tanto domestici. Li avrei fatti felici. La buona azione di un uomo, scaturita dalla cattiva azione di un cane, compiuta per la felicità dei suoi simili (del cane) – un lampo di luce tra le caligini di questo mondo in frantumi.
Guardai l’ora. Le tre e mezza. Potevo dormire due ore buone. Mi addormentai.
Il mattino mi svegliò un urlo. Non aveva nulla di umano, eppure riuscii a riconoscerne la matrice. Aprii gli occhi e mi tirai su dalla branda. Il soggiorno era avvolto nella luce. L’orologio segnava le nove e cinquantasette. Madam cacciò un altro urlo. Questa volta intesi: Che cesso, che cesso!
Nuda e fradicia comparve in soggiorno. Reggeva la gallina tenendola per il collo con due dita. La testa di Madam appariva meno inclinata a sinistra e più orientata verso il basso, sicché il suo sguardo arrivava da sotto in su, come quello di un demone shintoista.
È questo il phon? gridò, è questo? e disgustata si liberò della gallina scaraventandola via a casaccio. La povera salma attraversò il soggiorno in volo e finì appollaiata con le ali dispiegate sulla faccia di Guenda. Lei borbottò: Cosa c’è, Massimiliano? Lo sai che non li voglio più i tuoi baci, mai più.
In quel momento la porta si spalancò e nel controluce abbagliante vidi la figura immensa di Billy ingombrare il varco.
Qualcuno ha visto la mia gallina? disse.
Io e Madam guardammo dove non avremmo dovuto, esattamente dove non avremmo voluto. Billy si fece largo. Indossava soltanto quello che lui definiva il mio costume da bagno (in realtà il bagno al mare non lo faceva mai, e nella vasca raramente, se è per quello), un triangolo di stoffa nera che gli copriva malamente il pube, una sorta di perizoma fatto in casa, da cui immancabilmente fuoriusciva un testicolo. Per il resto era nudo, irto di peli quanto il cuore di Samui è coperto di palme. Un King Kong in tanga che guardava con espressione ebete la sua creatura morta, il giocattolino rotto. Chi avrebbe fatto divertire i bambini con la corsa di una gallina decapitata, adesso?
Billy guardò me e Madam, indeciso su chi uccidere per primo. Madam non era distante dalla camera, ne approfittò per svicolare nuda e cruda dallo sguardo assassino (e famelico) di Billy. In un secondo fu addosso a me. Mi agguantò come un pupazzo, e mi strinse al petto. Ebbi il tempo di sentire che puzzava come un porcile. Poi sotto la sua morsa persi i sensi.
Quando mi rianimai ero ancora tra le sue braccia, ma Billy aveva allentato la presa. Madam lo allettava con una carotina, una verde foglia di lattuga da cento euro. Billy mi lasciò andare, afferrò la banconota, afferrò la gallina e fece per uscire. Quasi si scontrò con Gherardo. Il quale dalla soglia prese a scusarsi del ritardo, dovuto, disse, al traffico congestionato attorno al Fisherman Village: il principe o la principessa reali sono in visita, disse, polizia e esercito ovunque, non si passava neanche a pregare.
Billy lo scostò con una remata del braccio e uscì con il bottino. Poi rimise la testa dentro e disse: Lo sai che mancano solo ventidue ore e cinquantaquattro minuti alla consegna del racconto? Ti vuoi decidere a finirlo per stasera oppure vuoi spedirlo senza correzioni?
Dalla strizzatina d’occhio che mi diede facendo frusciare con due dita il biglietto da cento euro, non mi fu difficile capire come avrebbe trascorso la giornata. In effetti, mezzora dopo, mentre io, Madam, Guenda e Gherardo ci avviavamo in spiaggia, vidi il tre ruote della piccola poliomielitica entrare traballando nel Sunrise Smile.