9 Lug 2016
STORIA DI AHMED, SIRIANO DI ALEPPO PROFUGO A GIANNITSA IN GRECIA
AG.RF 09.07.2016
(riverflash) – A volte li chiamiamo extracomunitari, altre li chiamiamo profughi. Di loro sappiamo poco, ma sappiamo che costituiscono un problema perché cercano di trovare spazio in Europa, dove gli stessi europei faticano a trovarlo. Proviamo a farli conoscere meglio raccontando la storia di Ahmed, 23 anni, siriano di Aleppo e musulmano sunnita. È arrivato in Grecia passando per la Turchia e adesso si trova al campo profughi di Giannitsa. Questa la sua storia.
Mi chiamo Ahmed, ho 23 anni, sono arabo sunnita originario della città di Aleppo in Siria. Sono sposato, mi trovo al campo di Giannitsa assieme a mia moglie incinta al terzo mese del nostro primo figlio e a mia nipote di quasi due anni. E’ la figlia di mio fratello, stavamo viaggiando insieme a lui, a sua moglie e agli altri suoi due figli, ma sfortunatamente loro non ce l’hanno fatta a superare la frontiera con la Turchia.
In Siria studiavo e lavoravo. Seguivo un corso internazionale alla scuola superiore per accedere all’università, ma ho dovuto interrompere gli studi a causa della guerra nel mio paese. Allo stesso tempo lavoravo nel settore edile e delle costruzioni, ma ho avuto problemi anche lì a causa di un’operazione al ginocchio, che continua a darmi noie e che necessiterebbe tuttora di cure. E’ successo all’inizio della rivoluzione in Siria nel 2013, ero alla guida della mia moto quando è scoppiata una bomba vicino a me. Sono caduto e mi sono ritrovato con il ginocchio completamente aperto. Mi hanno portato in ospedale, dove hanno rimosso le schegge che erano entrate dentro. Per lungo tempo ho avuto difficoltà di deambulazione, un anno l’ho passato praticamente a letto e tuttora non mi sono ristabilito al 100%. In Siria ho subito altri due interventi, ma a causa della guerra ad Aleppo non erano più disponibili né medici né materiale sanitario ortopedico. Ora avrei bisogno di fare una radiografia e forse di un altro intervento, come mi è stato anche prescritto dal personale medico greco quando gli ho spiegato il mio problema. Siamo scappati dalla Siria a causa dell’Isis. Nonostante io sia musulmano e sunnita non eravamo ugualmente al sicuro. Daesh è contro tutti, anche contro gli stessi musulmani. La loro mentalità è: o con noi o contro di noi e se non gli obbedisci diventi automaticamente un loro nemico. Prima di scappare dalla Siria per quattro anni ci siamo nascosti in case di amici, che cambiavamo di continuo. Poi è iniziato a essere difficile anche mettersi al riparo di qua e di là ed eravamo sempre più preoccupati per l’aggravarsi della situazione, perché sentivamo di continue violenze, omicidi, arresti, sparizioni e sequestri. Così abbiamo deciso di fuggire. Aleppo è distante appena venti minuti dalla Turchia e ho tentato di superare il confine almeno quindici volte, senza successo. Alla fine ci siamo riusciti passando per un’area sotto il controllo delle forze di liberazione curde. Viaggiavamo con un altro gruppo di siriani divisi in diverse macchine. Sfortunatamente mio fratello e la sua famiglia sono stati bloccati dalla polizia lungo il tragitto e ora sono ancora nella zona del confine nella speranza di passare, prima o poi. A noi è andata meglio, la piccola era con noi e ora ce ne prendiamo cura. Era l’1 marzo 2016 e dieci giorni dopo siamo arrivati in Grecia attraverso Mitilini nell’isola di Lesbo, pagando 2.500 euro per tre persone. Per cortesia non fatemi ricordare la traversata in mare. E’ stato orribile e avrei solo voglia di dimenticare, sebbene sia impossibile. Abbiamo viaggiato a bordo di un gommone per venti persone ed eravamo in cinquanta, esclusi i bambini. Non so dire quanti fossero, ma erano di sicuro parecchi. Ci abbiamo messo circa tre ore, a un certo punto il gommone ha cominciato a imbarcare acqua per quanto era pesante, ci siamo ritrovati con l’acqua alle ginocchia e con i bambini che piangevano e strillavano. A Lesbo siamo rimasti poco, giusto il tempo necessario per il rilascio del foglio d’ingresso per poter proseguire il nostro viaggio verso Atene. Già il 22 marzo eravamo a Giannitsa. Siamo arrivati direttamente qui, senza neanche passare per Idomeni. Siamo entrati in Grecia giusto in tempo, appena un giorno prima dell’entrata in vigore del nuovo accordo con la Turchia, altrimenti saremmo stati respinti indietro. Sapevamo che qualcosa stava cambiando ed eravamo a conoscenza anche del confine chiuso con la Macedonia, ma cos’altro potevamo fare? Non avevamo tanta scelta. Non ho parenti in Europa, il resto della mia famiglia è rimasta in Siria, perciò faremo richiesta di ricollocazione, come era nelle mie intenzioni sin dall’inizio del viaggio e dal primo momento che ho messo piede in Grecia. Non importa in quale paese, basta che sia un posto dove poter ricostruire la nostra vita e immaginare un futuro. Un posto che ci accolga e che ci aiuti, dove io possa ricevere cure per il mio ginocchio, mia moglie possa far nascere il nostro bambino e mia nipote abbia la possibilità di andare a scuola e ricevere un’istruzione. In Siria avevamo una casa, un lavoro e la nostra socialità e nonostante tutto quello che è successo non siamo mai stati costretti a vivere in una tenda. Prima di partire avevamo aspettative completamente diverse e con il senno del poi penso che forse sarebbe stato meglio rimanere lì piuttosto che ritrovarci in questa realtà. Dopo tutto quello che abbiamo passato, tornare indietro ora significherebbe andare incontro a morte certa. Non ho idea di quanto durerà ancora questa situazione.
Nonostante tutte le promesse che ci vengono fatte ogni giorno qui ci sentiamo persi, al punto che preferisco non sentire più nulla. Ho smesso di credere a qualsiasi cosa ci venga detta. Sono solo in grande pena per mia nipote, alla quale stiamo dando tutto l’affetto possibile nella consapevolezza che non potrà mai eguagliare quello dei suoi genitori. Allo stesso modo sono molto preoccupato per mia moglie. Siamo venuti a conoscenza della sua gravidanza qui al campo, non stava bene e siamo corsi in ospedale per accertamenti, così ci hanno detto che era incinta. E’ al terzo mese e soffre di nausee e di vomito, passa tutto il giorno in tenda perché non riesce ad alzarsi dal letto. I medici le hanno prescritto una dieta speciale a base di pasta, riso e carne, lo abbiamo spiegato all’esercito che fornisce i pasti al campo e ogni volta ci rispondono “domani”, senza che nulla succeda il giorno dopo. Le hanno prescritto inoltre delle analisi del sangue, come anche alcuni esami radiografici per il mio ginocchio, ma non c’è verso di venire a capo di questa situazione. Il problema è che abbiamo finito i soldi e non possiamo provvedere da soli a questa situazione di necessità, altrimenti lo avremmo già fatto.
Fonte: Intersos