AG.RF.(redazione).06.12.2018
L’appello degli specialisti infettivologi dal XVII Congresso SIMIT appena concluso
“riverflash” – Se si va ad analizzare l’andamento complessivo delle infezioni negli ultimi 10 anni si riscontra che le infezioni nei reparti medici sono salite a 12,4 casi ogni 100.000 dimissioni (erano 6,9 nel 2007) con un aumento del 79%, mentre per quelle nei reparti chirurgici da 144,59 casi ogni 100.000 dimissioni a 233,1 casi, con un incremento del 61,2%.
I recenti dati riferiti al 2017 dalle più importanti organizzazioni sanitarie a livello mondiale ed europeo (Organizzazione Mondiale della Sanità – OMS ed il Centro Europeo per il Controllo delle Malattie Infettive – ECDC) affermano che, a causa della resistenza dei batteri agli antibiotici, si verificano 671.689 casi di infezioni, a cui sono attribuibili 33.110 decessi e 874.541 condizioni di disabilità. Di queste infezioni il 63% risultano essere infezioni correlate all’assistenza sanitaria e sociosanitaria. In Italia, secondo l’Istituto Superiore di Sanità, le infezioni ospedaliere hanno un’importanza anche maggiore di tante altre malattie non infettive. Su 9 milioni di ricoveri in ospedale, ogni anno si riscontrano da 450.000 a 700.000 casi di infezioni ospedaliere (circa dal 5-8% di tutti i pazienti ricoverati).
IL CONGRESSO – Se ne parlerà durante il XVII Congresso Nazionale SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, che si svolgerà dal 2 al 5 dicembre presso il Centro Congressi Lingotto di Torino. Durante il congresso, organizzato dai Professori Giovanni Di Perri e Pietro Caramello di Torino saranno approfondite tematiche quali HIV, epatite C, aderenza ai farmaci, malattie nelle popolazioni speciali, malaria e malattie vettoriali.
“Il programma del congresso – spiegano è stato studiato per permettere il confronto e la discussione sulle tematiche consolidate ma attuali nell’attività quotidiana dell’Infettivologo nonché su nuove questioni emergenti o riemergenti. In questo perimetro, i grandi capitoli delle infezioni virali, della gestione delle infezioni nosocomiali, della terapia antibiotica, delle malattie tropicali e di importazione sono stati affrontati cercando di superare laddove possibile rigidi schematismi e favorendo la trasversalità di argomenti, in modo da sottolineare come l’approfondimento di tematiche specifiche non debba far perdere la visione globale e bilanciata del sapere e del fare dell’Infettivologo”.
LE INFEZIONI IN ITALIA – Se si va ad analizzare l’andamento complessivo delle infezioni negli ultimi 10 anni si riscontra che le infezioni nei reparti medici sono salite a 12,4 casi ogni 100.000 dimissioni (erano 6,9 nel 2007) con un aumento del 79%, mentre per quelle nei reparti chirurgici da 144,59 casi ogni 100.000 dimissioni a 233,1 casi, con un incremento del 61,2%, ciò malgrado il numero totale dei ricoveri sia molto diminuito di circa 3 milioni.
“La valutazione del rischio di infezione – spiega il Prof. Marco Tinelli, Tesoriere della SIMIT, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali, già Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Malattie
Infettive e Tropicali – Azienda Ospedaliera di Lodi – è un parametro fondamentale per la prevenzione delle infezioni. Esso è più alto, oltre che negli anziani sopra i 70 anni, in molte patologie come: neoplasie, diabete, bronchiti croniche, cardiopatie, insufficienza renale, traumi, ustioni, trapianti di organi, ecc. Per quanto riguarda le sedi delle infezioni sia negli ospedali che nelle RSA, le principali patologie che si riscontrano nell’80% circa dei casi sono a livello urinario, delle vie aeree (a livello comunitario quelle del tratto respiratorio superiore mentre a livello ospedaliero del tratto inferiore), dei tessuti molli comprese le ferite post chirurgiche e le infezioni del sangue (sepsi), quest’ultime più gravi e pericolose per la vita. Tra le varie tipologie di infezioni citate, quelle urinarie contano circa il 35 % di tutte le infezioni ospedaliere anche se ultimamente si riscontra una tendenza alla riduzione, a differenza delle infezioni respiratorie che percentualmente hanno raggiunto i livelli delle urinarie”.
LE CAUSE – Una buona parte di questi aumenti, in percentuale, è dovuta all’uso eccessivo di antibiotici ed in particolar modo di alcune classi di essi come i chinoloni (ciprofloxacina e levofloxacina) che sono molto usati per la loro facilità di somministrazione per bocca e, di solito, in monodose giornaliera. Tali antibiotici, oltre a determinare effetti collaterali anche rilevanti, hanno raggiunto un tale livello di resistenza, pari al 50%-60%, tanto che l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco) pochissimi giorni fa, ha emanato un “alert” a tutte le istituzioni sanitarie europee per limitarne drasticamente l’uso. Del resto, secondo i dati forniti dall’ECDC nel 2018, abbiamo il triste primato di essere una delle nazioni europee a più alto consumo di antibiotici insieme a Regno Unito, Finlandia, e Grecia a livello ospedaliero e a livello territoriale insieme a Grecia, Francia e Belgio.
LE REGIONI DELL’EMERGENZA – Secondo i recentissimi dati ufficiali del rapporto OsMed 2017-2018 presentato da AIFA a luglio di quest’anno, si riscontra una notevole differenza Nord-Sud. “Prendendo in considerazione le dosi di farmaco consumate ogni 1000 abitanti – aggiunge il Prof. Tinelli – è la Campania la regione ad avere il maggior consumo di antibiotici (29, 0 DDD), seguita dalla Puglia (26,8 DDD), Calabria (26,6 DDD) e dall’Abruzzo (25,4 DDD). La Provincia Autonoma di Bolzano ha il consumo piu basso (12,7 DDD), seguita dalla Liguria (15,9), dal Veneto (16,9 DDD) e dal Friuli Venezia Giulia (17,5 DDD). Molti sono i motivi dei consumi elevati: si va dalle differenti abitudini prescrittive spesso non appropriate nelle varie regioni, sia a livello ospedaliero che territoriale, al non sempre ottimale monitoraggio dei farmaci ed anche alla vendita di antibiotici senza prescrizione nelle farmacie (per fortuna in una percentuale limitata)”.
L’APPELLO AL GOVERNO DELLA SIMIT – “La gestione dell’antibiotico- resistenza e le conseguenze ad essa correlate – conclude il Prof. Tinelli – rimangono uno i problemi principali, se non il problema principale, della salute pubblica nel nostro paese, come del resto evidenziato più volte ed in più occasioni da tutte le organizzazioni sanitarie internazionali. E’ evidente che se il Governo non metterà mano ai cordoni della borsa prevedendo che nel DEF 2019 una quota di investimenti sarà dedicata e vincolata alla gestione del problema “antibiotico resistenza”, almeno per alcune priorità più urgenti ed indilazionabili, il nostro Paese rimarrà il fanalino di coda dell’Europa a scapito di tutti i cittadini”.
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