10 Apr 2016
Peur de rien-La Parisienne: la maturazione sentimentale di una ragazza libanese a Parigi
AG.RF. 10.04.2016 (ore 12:48) – Danielle Arbid è una regista libanese che si è trasferita a Parigi negli anni ’90. Ha lavorato per qualche anno come giornalista, prima di iniziare la sua avventura nel mondo del cinema con alcuni film corti e documentari di indubbio interesse. E con un documentario appunto, “Seul avec la guerre” ha il suo primo riconoscimento internazionale, al prestigioso Festival di Locarno. Ove qualche anno dopo vince il Pardo d’Oro. Degno di menzione è sicuramente “Un homme perdu” del 2007, perché la Arbid dirige nella parte di Thomas un attore eclettico e difficile come Melvil Poupaud, che abbiamo ritrovato recentemente in una delle sue migliori interpretazioni in “Lawrence anyway” del canadese Xavier Dolan.
Il film più recente di Danielle Arbid, visto ieri al Festival Middle East Now di Firenze, è “Peur de rien-La Parisienne”, col quale la regista fa i conti con le sue proprie autobiografiche esperienze, filtrate, come sempre accade in questi casi, dalla immaginazione e dal carattere della fiction, come lei stessa ha affermato in una recente intervista. E’ dunque un film parzialmente autobiografico nel quale la regista racconta le paure ed il coraggio di una ragazza , Lina, che a meno di 18 anni si trasferisce (forse sarebbe più il caso di dire “fugge”) dal Libano a Parigi, stanca di quel mondo che a quei tempi (il film è ambientato negli anni ’90) offriva prevalentemente guerra e distruzioni materiali e morali. Parigi deve essere una città che la nostra regista ama molto: ce la mostra il più delle volte in immagini molto solari e nitide, anche quando si tratta di narrare momenti difficili, allorchè la protagonista è sorpresa da un poliziotto municipale- forse fin troppo gentile per essere vero – a dormire in un parco, o quando fugge dalla casa che inizialmente la ha ospitata, perché disgustata dalle avances del marito della zia.
Il film ruota tutto intorno alle difficoltà di Lina per trovarsi una sistemazione, un lavoro anche precario e modesto per avere i mezzi per poter mangiare e per pagare l’ostello che la ospita. La maggiore difficoltà – e lo sappiamo dalla storia della Francia di quegli anni – è quella di ottenere il permesso di soggiorno per poter terminare finalmente la sua lunga stagione di “sans-papiers”. La ricerca dei mezzi per ottenere il permesso di soggiorno rappresenta uno dei motivi unificatori dei vari contesti attraversato dal film, anche se non assurge mai, se non nella parte finale, a motivo drammaticamente ossessivo. La ragazza ha infatti la fortuna di imbattersi in una professoressa d’arte moderna che in qualche modo la prende sotto la sua protezione, riuscendo a risolverle alcuni fondamentali problemi, come quello di procurarle un buon avvocato esperto di pratiche di immigrazione.
Ma, a parte le problematiche legate al permesso di soggiorno, il film ci descrive le graduali esperienze di vita e di amore di Lina, attraverso le quali da ragazzina diventerà donna. Paradossalmente Lina si imbatte negli ambienti politicamente più disparati, da un circolo di fanatici monarchici (“da circa 200 anni la Francia sta malissimo”) agli ambienti della sinistra anarchica e degli irriducibili post-sessantottini. La regista ci mostra questi diversi ambiti con sobrietà e tocchi leggeri, senza abbandonarsi a facili giudizi. Si potrebbe chiedere a quesoi punto: si tratta di un film di formazione? La risposta è negativa se intendiamo per formazione quella politica. Lina sembra in qualche modo impermeabile ad assorbire le varie e diversissime realtà politiche che incontra attraverso i suoi ragazzi e amanti. Ad un certo punto dichiara candidamente di non essere interessata a questo genere di argomenti. E in realtà la sua è una graduale maturazione di vita e di esperienze, anche se poi non sarà un caso se alla fine si ritroverà attratta soprattutto di un ragazzo dalle idee molto progressive, Julien, di cui finirà col condividere scelte e interessi, ma che non riuscirà a trattenere a lungo accanto a sé. Insomma un film che possiamo definire più che una storia di formazione, la storia di una educazione sentimentale senza rete, fuori dal proprio Paese. Ma anche tanto altro ancora: è anche film sull’emigrazione,e sulla tenacia per superare le difficoltà che si frappongono fra Lina e la felicità…
Da rimarcare anche la parentesi del temporaneo ritorno in Libano di Lina, alla notizia della imminente fine del padre. In pochi minuti assistiamo a scene di rara delicatezza che in qualche modo arricchiscono per lo spettatore la conoscenza del bagaglio sentimentale della protagonista.
Girato con uno stile essenziale, ricco di primissimi piani, ove a volte ti sembra di toccare la pelle di Lina e dei suoi amici attraverso movimenti ravvicinati della macchina da presa, il film rappresenta sicuramente un ottimo livello di maturità esibito con sicurezza dalla bravissima regista libanese.
Fonte: rivegauche-filmecritica.com