AG.RF.(MP).02.05.2015
“riverflash” – La sentenza della Corte costituzionale, ha “bocciato” il blocco delle rivalutazioni pensionistiche varato dal governo Monti e secondo il ministro del Lavoro, Giualiano Poletti, “non si può che applicare”. Ora però, sorge il problema circa il reperimento dei 5mld (1,8 mld per il 2012 e circa 3 mld per il 201), cifra che lo Stato dovrebbe restituire a 6mln di pensionati. La norma bocciata, è dunque la Fornero, contenuta nel “Salva Italia” ed aveva stabilito che per gli anni 2012/2013, “in considerazione della contingente situazione finanziaria, sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps, scattasse il blocco della perequazione”, perché il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita, è incostituzionale, secondo quanto deciso dalla Corte Costituzionale, che ha bocciato l’art. 24 del decreto legge 201/2011. Per quale motivo? Eccolo nel dettaglio: L’interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio”. D’altronde, la questione della legittimità costituzionale della riforma Fornero, era già stata sollevata , tra il 2013 e il 2014, dal Tribunale di Palermo, sezione lavoro; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria. Secondo la Consulta, le motivazioni indicate alla base del decreto sono blande e generiche, mentre l’esito che si produce per i pensionati è pesante. “Va ricordato, – si legge nella sentenza – che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull’ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato. La censura relativa al comma 25 dell’art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico, induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività”. Sulla base di ciò, risultano quindi intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l’adeguatezza (art. 38). Quest’ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà” (art. 2) e “al contempo attuazione del principio di eguaglianza, (art. 3). Ora però, non può che sorgere spontanea la domanda: “dove troverà le risorse, il Governo”? “Stiamo valutando l’impatto che la sentenza della Consulta, avrà sui conti pubblici e questo non è un problema di facile soluzione”. Le persone “coinvolte” nel blocco dell’indicizzazione della pensione, sono circa 6mln, con un reddito superiore a 1.500 euro mensili lordi, secondo gli ultimi dati dell’Istat sulla previdenza, aggiornati al 2013. Lo stop alla perequazione ha infatti interessato gli assegni superiori a tre volte il minimo (circa 1.500 euro al mese). Guardando alle percentuali si tratta di oltre il 36% del totale degli oltre 16,3 milioni di pensionati italiani. Nel dettaglio, i pensionati d’oro, che superano i dieci mila euro mensili, sono circa 12 mila (lo 0,1%). E ora tutti i pensionati ai quali è stata bocciata l’indicizzazione della loro pensione, attendono risposte concrete…..
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