AG.RF.(MP).06.02.2015
“riverflash” – Pensione da mille euro al mese? 1 euro andrà restituito all’Inps per colpa della “deflazione” che ha raffreddato i prezzi ma anche le pensioni che ora saranno un po’ più “leggere”. Ora quindi, gli assegni Inps in pagamento, come è avvenuto lo scorso anno, a gennaio 2016 dovranno restituire all’ente di previdenza la differenza (0,1%) tra il tasso d’inflazione adottato provvisoriamente (+ 0,3%) e quello definitivo relativo al 2014 (+ 0,2%). Le regole attuali, lo ricordiamo, prevedono che la perequazione venga attribuita al 100% per i trattamenti complessivi fino a tre volte il trattamento minimo (1.500 euro mensili); al 95% per quelli da tre a quattro volte il minimo; al 75% per quelli da quattro volte a cinque volte il minimo; al 50% per quelli da cinque a sei volte il minimo e al 45% per i trattamenti superiori a 6 volte il minimo. Tutte cifre al lordo dell’Irpef. Tradotto in pratica, un pensionato con 2.000 euro lorde (1500 nette mensili) a gennaio si è visto attribuire un aumento di 7 euro, di cui uno e rotti dovrà essere restituito all’inizio dl prossimo anno. E per il 2016 si profila la deflazione. L’Istat ha appena pubblicato le variazione dei prezzi in Italia per il mese di gennaio, quando è stato registrato un calo tendenziale dello 0,6% e dello 0,4% rispetto al mese di dicembre, mese in cui l’inflazione era stata pari a zero. Certo è difficile spiegare ad un pensionato con mille euro al mese che l’anno prossimo il suo assegno rimarrà completamente fermo, perché l’Istat sostiene che i prezzi del supermercato non sono aumentati. E, naturalmente, il mancato incremento si proietta, strutturalmente, anche negli anni successivi. Ma quale potrebbe essere la conseguenza di tutto ciò, per i giovani? Il rischio è per tutti coloro che hanno cominciato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che rientrano appieno nel criterio di calcolo della pensione cosiddetto “contributivo”; il meccanismo di calcolo è abbastanza semplice: occorre tener presenti, tre i parametri di riferimento: la retribuzione, l’aliquota di computo e il coefficiente di trasformazione del montante contributivo In pratica, con il versamento dei contributi il lavoratore accantona il 33% (aliquota di computo dei dipendenti) della retribuzione. Ciò avviene mese per mese, anno per anno, andando a formare il cosiddetto “montante contributivo”, che è soggetto a rivalutazione annuale sulla base della dinamica quinquennale del Pil (il prodotto interno lordo). E qui sta il problema: il Pil non è l’Istat che misura il potere di acquisto. Il Pil riflette la capacità di un paese di far girare l’economia. Questa capacità scarseggia, ultimamente, un po’ per la crisi economica e un po’ per altre ragioni. E dunque anche il Pil non cresce, comportando, di conseguenza, una scarsa rivalutazione (cioè guadagno) dei contributi accumulati all’Inps.
Fonte: Corriere della Sera
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