Coppa di Africa dal 13 gennaio
header photo

ingrandisci il testo rimpicciolisci il testo testo normale feed RSS Feed

NON ESSERE CATTIVO – La recensione

Non essere cattivo

di Valter Chiappa

(AG. R.F. 20/09/2015) (riverflash)

Cesare e Vittorio. Vite allo sbando, che cercano riparo nell’allucinazione degli stupefacenti. Birre e sigarette. Espedienti e piccole rapine per cercare nuovi soldi, per comprare altre pasticche, per sballare ancora. Cesare e Vittorio. Compagni inseparabili, di più, fratelli, così come lo si intende a Roma. Anime unite da quel legame invincibile ed inspiegabile, che talvolta caratterizza certe amicizie. Onde non sempre in sintonia di fase, ma che l’una con l’altra si trascinano verso l’altro, poi frangono, poi precipitano nuovamente in basso.

Ma “Non essere cattivo” non è la storia di due disperati, piuttosto un discorso sulla speranza, la storia dell’eterna lotta fra la ricerca della felicità e l’impulso malefico all’autodistruzione.

Cesare è l’impudente, l’aggressivo. Sceglie il ruolo più pericoloso, quello del guerriero. Azzanna la vita, per prendersi il suo spicchio di felicità. La vuole rubare, urlando, puntandole una pistola contro. Ma la vuole, la vuole profondamente. Cesare è tenerissimo, con la sorellina malata, con la madre piegata dalla vita, con la fidanzata sbandata come lui. Ma nella battaglia con la vita segue il destino di ogni eroe solitario. Vittorio, il riflessivo, prova lui a “non essere cattivo”. Vuole pulirsi da quel male oscuro che infetta entrambi e rincorrere un’esistenza dignitosa: una fidanzata, il lavoro in cantiere. Con le mani e la fatica vuole costruirsela la speranza.

E poi il mondo in cui si muovono. Ostia dei primi anni ’90, prima che si trasformasse nel ritrovo della movida estiva, diventando ancora più orribile. Più che una periferia; un luogo marginale che a Roma ha un nome univoco: borgata. Spiagge deserte infestate dalle siringhe dei tossici, casette abusive, chioschi bar dove il giorno stazionano vitelloni svaccati nell’ozio, la sera si ritrovano ragazzi e ragazzette in cerca di una qualsiasi emozione.

“Non essere cattivo” di Claudio Caligari, non è, o non è solo, un film neorealista; sebbene descriva con puntualità e linguaggio crudo un ambiente, quello delle borgate, della droga, del degrado, evidentemente cari al regista, va oltre. È invece una ricerca, proprio in quel contesto, di una irriducibile umanità. Caligari va ad inserirsi così a pieno titolo in quel filone narrativo, che va da Caravaggio a Pasolini a De Andrè, che cerca lì, dove il mondo è più difficile, quei valori che sono i diamanti più puri della società; puri proprio perché non legati a condizioni favorevoli, ma perché incastonati nella madre roccia più dura: il cuore dell’uomo. E difatti le scene che restano dentro sono quelle legate ai momenti più toccanti della storia: l’amore protettivo di Cesare per la sorellina o l’entusiasmo con cui, assieme alla ragazza, trasforma un rudere abbandonato in un nido d’amore. “Dura, vedrai che dura…” dice alla ragazza che gli manifesta i suoi dubbi sul futuro. È in questa battuta il senso del film, nella speranza tenace, più forte di qualsiasi degrado. Come ogni battaglia, può essere vinta o persa. Ma la speranza, questo ci dice Caligari, alla fine rinasce sempre, sorridente, pronta a lottare ancora.

È difficile valutare con obiettività un film dopo la morte del suo autore. Soprattutto se il regista, Claudio Caligari, è stato anch’egli messo ai margini dalla cinematografia istituzionale. Soprattutto se la sua carriera è così particolare; tre film in più di 30 anni: “Amore tossico” (1983), pellicola ormai di culto, “L’odore della notte” (1998), con un allora giovanissimo Valerio Mastrandrea ed oggi “Non essere cattivo”. Soprattutto se, in mancanza di ogni sostegno istituzionale, la realizzazione di quest’ultima opera è stata così sofferta, come testimonia l’accorata lettera che Mastrandrea, coproduttore del film, ha scritto a Martin Scorsese in cerca di fondi. Ma sopra ogni cosa se l’autore, come nel caso di Claudio Caligari, è stato un intellettuale puro e fuori da ogni sistema, un amante devoto del cinema e dell’umanità, un artista tanto bravo quanto sottovalutato.

Ma “Non essere cattivo” è senz’altro un gran bel film. Certo, la sceneggiatura patisce in parte la mancanza di originalità; i riferimenti allo Scorsese di “Mean streets”, sono riconoscibili: Little Italy come Ostia, Johnny Boy come Cesare (simile anche il cappello), Vittorio come Charlie Cappa. Ma il sentimento che lo pervade è tangibile, il linguaggio efficace, gli aspetti tecnici impeccabili.

Un film così concepito aveva bisogno di grandi interpretazioni. E queste pure sono venute puntualmente, grazie a due giovani attori: Luca Marinelli e Alessandro Borghi, bravi non solo a raccontare gli eccessi dei loro personaggi, ma soprattutto nel trasmettere quell’afflato umano di cui sono pieni. È forse grazie alla loro recitazione che il film tocca dentro, commuove nel profondo. Meritevoli di menzione sono anche le protagoniste, Silvia D’Amico e Roberta Mattei, perfettamente nel ruolo.

“Non essere cattivo” ci dà conferma delle potenzialità del cinema italiano, in un periodo in cui rischia di spersonalizzarsi, rincorrendo i palcoscenici internazionali e al contempo ci lascia l’amarezza di un’occasione, l’ennesima, non colta: l’inespresso talento di Claudio Caligari. I tributi tardivi, come la positiva accoglienza ricevuta a Venezia, non bastano.

Quella del riconoscimento del merito in Italia è una storia vecchia, davvero troppo vecchia.

Voto: 7.5

Nessun Commento »

Puoi lasciare una risposta, oppure fare un trackback dal tuo sito.


Vuoi essere il primo a lasciare un commento per questo articolo? Utilizza il modulo sotto..

Lascia un commento


Heads up! You are attempting to upload an invalid image. If saved, this image will not display with your comment.

*