20 Gen 2014
NAVELLI: UN BORGO ITALIANO FRA STORIA E MISTERO
di Daniele Mulas
AG.RF 20.01.2014 – ore 01.45
Quando si percorre la Statale 17 in Abruzzo, dai finestrini della vettura lo sguardo dei passeggeri viene rapito da una grande collina, agghindata con tante piccole case di pietra. In cima, come se fosse una corona, il vecchio Palazzo Baronale guarda tutta la piana con aria solenne. Il fascino misterioso che trasuda da quelle mura dà una scossa alla curiosità di chi lo ammira per la prima volta. Ma non siamo in qualche posto da sogno consigliato dai soliti cartelloni pubblicitari: siamo a Navelli, in Abruzzo, in uno dei borghi più belli d’Italia.
Un po’ di storia
Le prime tracce di Navelli si hanno a partire dalla prima metà del 400′, come ci spiega esaustivamente il sito del comune: “Navelli fu annesso alla diocesi dell’Aquila il 29 Agosto 1424 dal Papa Martino V al fine di sedare i violenti conflitti sorti in merito al pagamento delle decime al Vescovo valvense da parte dei cittadini e degli abitanti del comitatus Aquilanus. Il Paese fu fondato dagli abitanti di vari villaggi che, a causa del fenomeno dell’incastellamento, sviluppatosi in epoca medievale (VIII-X sec.), decisero di riunirsi in un unico castello sito su di un colle”. Pare evidente come il borgo sia ancora suddiviso in due parti: quella alta medievale (caduta in rovina e disabitata), chiamata “Spiagge grandi”, quella bassa rinascimentale (in miglior stato e abitata) chiamata “Spiagge piccole”. Palazzo Baronale è oggi chiamato “Palazzo Santucci” in onore degli ultimi proprietari: finito di edificare nel 1632, e sorto sulle rovine di un antico castello, questo enorme edificio era stato costruito come residenza dei feudatari di Navelli dal 1632 fino alla fine del 700′.
Per quanto riguarda il nome Navelli, secondo alcuni deriverebbe da nava (conca), ovvero dalla depressione del terreno nella quale si trovava il primo insediamento. La tradizione popolare invece, ci consiglia un originario Novelli, derivato dalla fusione, in un unico castello, di nove ville. Da Novelli si sarebbe passati a Navelli in seguito alla partecipazione degli abitanti del Borgo alle crociate in Terra Santa, così come ricorda lo stemma del paese.
Non tutti sanno che…
Ci si dimentica troppo spesso delle realtà rurali che ogni giorno continuano a vivere ed a passare inosservate alla stragrande maggioranza del popolo Italiano stesso. Navelli rientra perfettamente in questa piccola premessa: il Borgo abruzzese è famoso in tutto il mondo per la produzione di zafferano, il cosiddetto “oro rosso”.
C’è una storia curiosa su come la piccola realtà di Navelli sia divenuta produttrice di zafferano. Nel XIII secolo, un monaco della famiglia Santucci, impegnato in Spagna al tribunale dell’Inquisizione nel 1230, decide di riportare in Italia i bulbi di una pianta lì molto diffusa: il crocus sativus. Esperto di botanica e di agricoltura, riteneva che lo zafferano avrebbe trovato a Navelli l’ambiente ideale in cui crescere. Padre Santucci importò la pianta e la diffuse nei campi, perfezionando le tecniche di coltivazione per far adattare lo zafferano al clima ed al suolo nostrano. Il bulbo trovò l’habitat perfetto, contribuendo a far moltiplicare una coltivazione di ottima qualità, ricavandone anche una cospicua fonte di guadagno. Oggi, a distanza di molti secoli, lo zafferano prodotto a Navelli è considerato il migliore del mondo, ed ha ricevuto il marchio DOP nel 2005.
Il Borgo
Il Borgo è vivo e morto al tempo stesso, caratterizzato da una ripida e spettacolare scalinata sulla quale si districa una fitta rete di vicoli di straordinaria bellezza, impreziositi da antichi palazzi, archi e piccole abitazioni in pietra disabitate.
A colpire maggiormente sono le stranezze e le curiosità che si incontrano via via salendo : le strutture abbandonate si sono fuse alla natura, che selvaggia e rigogliosa cresce libera sui tetti, nei viottoli e nelle case. Sparse armoniosamente nelle rientranze delle pareti, dormono delle teste di gesso, posate li da qualche artista di passaggio. Assieme ai carretti carichi di legna e agli animali messi a sostare ovunque dai pochi abitanti del Borgo, una miriade di piccole finestre sembrano scrutare chiunque attraversi quelle stradine, dando l’impressione di non essere mai soli. Entrando nelle costruzioni disabitate si possono incontrare ambienti molto grandi, dal fascino esoterico: l’esperienza personale mi porta a descrivere dei veri e propri edifici caduti in rovina pieni di impronte di mani umane, con un altare incavato nella roccia, ricoperto da una stoffa rossa.
Le strane scritte sulle porte malandate e sui mobili ammuffiti ci indicano come qualche giovane, in cerca di forti emozioni, sia passato di qui lasciando il proprio segno. Inoltre, si può costatare come gli archi e le decorazioni che appartenevano ad essi, siano stati razziati dei pezzi più pregiati da qualche ladruncolo che approfittò dell’abbandono della parte alta del Borgo. Arrivando in cima, Palazzo Baronale si innalza di fronte ad una graziosa piazzetta, con tanto di pozzo medioevale a fargli da cornice; da qui la vista sulla piana di Navelli toglie il fiato, soprattutto se si è in Ottobre-Novembre – periodo di fioritura per lo zafferano – dove l’esplosione color viola dei fiori della pianta entra in simbiosi con i colori del tramonto, rivestendo il paesaggio con un magico tocco.
Le poche testimonianze degli abitanti (molto diffidenti) ci hanno fatto capire che il disinteresse per il Borgo di Navelli è concreto, e probabilmente la parte “morta” rimarrà tale per molto tempo. Lasciando il Borgo per la via del ritorno, ci si può fermare un’ultima volta a leggere, su di un’antica finestra, le parole del grande Pier Paolo Pasolini, messe lì da qualche anima malinconica, che in conclusione racchiudono e danno voce alle antiche rovine di Navelli:
“Quel borgo nudo al vento,
osso dell’esistenza quotidiana,
pura, per essere fin troppo prossima,
assoluta, per essere fin troppo umana.
Stupenda e misera città
che mi hai fatto fare esperienza di quella vita:
fino a farmi scoprire ciò che, in ognuno, era il mondo.
Piange ciò che ha fine e ricomincia.
Piange ciò che muta, anche per farsi migliore”
Pier Paolo Pasolini
Si ringraziano Marco Serafini Amici per la fotografia e Ramon Guasco per il supporto tecnico.