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MICHELANGELO:“PRIGIONE detto SCHIAVO CHE SI RIDESTA” (1540-43) >>

 

(riverflash) – Giulio II aveva concordato con Michelangelo fin dal 1505 il progetto per la sua tomba monumentale da collocare nella nuova basilica di San Pietro.

Continuamente modificato in corso d’opera, il complesso scultoreo divenne, come affermò il Buonarroti stesso, “la tragedia della mia vita”. I Prigioni, che dovevano risultare sottomessi ad una serie di Vittorie, vennero realizzati in due serie successive nel 1512-13 e verso il 1532. Queste figure, che mostrano  la loro corporeità in uno struggente tentativo di liberazione dalla materia, che li imprigiona, rappresentano efficacemente la poetica michelangiolesca della forma ideale  recuperata “per via di levare” dall’interno della pietra grezza.

Michelangelo infatti, era particolarmente abile nel trascendere la materia e la pesantezza del marmo, ed era proprio attraverso questo  processo che la scultura, considerata in precedenza un arte minore, si elevava ad arte allo stesso livello della scultura. Attraverso il lavoro intellettuale dell’artista che liberava dal blocco di pietra la figura si compiva infatti un processo intellettivo  di tipo estetico in grado di elevare la manualità del gesto  artistico stesso.

La ricerca della forma ideale interpreta tutto il dramma di Michelangelo volto  a comprendere e ad affermare  il desiderio di compiutezza dell’uomo dentro una realtà sentita troppe volte come contraddittoria ed opaca. Il lunatico granduca Francesco volle i Prigioni per sé, nella grotta di Pitti.

 

di Lauretta Franchini (AG.RF.22.05.2013)

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