7 Ott 2014
MARIO SIRONI: il dolore e la speranza
di Valter Chiappa (AG.RF 07.10.2014) ore 10:39
(riverflash) – Un auto nera staglia le sue lamiere lucenti su una città tetra e deserta.
Il dipinto scelto dai curatori a rappresentare la Mostra di Mario Sironi, inaugurata lo scorso 4 ottobre presso il Complesso del Vittoriano evoca efficacemente il mondo dolente dell’artista lombardo.
L’esposizione, attraverso novanta dipinti, bozzetti, riviste e il carteggio con il mondo della cultura del Novecento italiano, disegna l’intera parabola artistica di uno dei maggiori artisti del ‘900, consentendo di rivalutarla con occhio distante dai credo politici che ne hanno imposto l’oblio. Peccato per l’allestimento quanto mai scarno e trascurato, che penalizza una rassegna cronologicamente e didatticamente completa.
La storia della pittura di Mario Sironi è quella di un uomo dall’animo irrimediabilmente cupo, in cui, ad un certo momento, si accese, effimera e menzognera, una luce.
Formatosi nel fervore del movimento Futurista, da questo si distinse subito sviluppando un linguaggio proprio e più aderente alle tenebre del suo animo, concretizzatosi nel tema con cui ancor oggi la sua opera viene comunemente identificata: quello dei “paesaggi urbani”. Palazzi squadrati, strade grigie e desolate, cieli carichi di fumo, nessuna presenza vivente: un deserto dell’anima apparentemente privo di speranza di redenzione. Le sue periferie non conoscono piacevolezze, graziosità, abbellimenti, ma solo un’implacabile volumetria; sono una metafora dell’esistenza, perché non è la periferia a essere dura, ma la vita.
Ma assieme a tanta innegabile tragicità un altro elemento, nettamente contrastante, si rileva nelle architetture di Sironi: la forza e la grandiosità che infonde nella potente struttura dei suoi palazzi. All’asprezza dell’immagine si contrappone un’energia costruttiva che da un lato è il segno della persistenza della materia, dall’altro della ritrovata capacità di costruire la forma. È il costruire l’imperativo categorico, il compito etico che soggiace o meglio, che emerge, dall’apparente squallore della città sironiana.
Fu questo che lesse chi lo chiamò a creare un linguaggio per il nuovo movimento, che come un vento impetuoso e devastante, stava percorrendo l’Italia.
E Sironi credette. La sua adesione al Fascismo ha, nel dopoguerra, condizionato il giudizio sulla sua pittura, molto più di quanto non sia accaduto ad altri artisti. Ma è ora di cercare di comprendere, e questa mostra lo consente, cosa sia stato il Fascismo per Mario Sironi.
Come si deduce dagli scritti dell’artista, esso significò essenzialmente due cose: la prima è il sogno di una rinascita dell’Italia, e quindi dell’arte italiana; la seconda è il desiderio di “andare verso il popolo”, per usare l’espressione mussoliniana: dunque, in campo espressivo, il sogno di un’arte destinata non ai salotti, per i facoltosi collezionisti, ma alle piazze e ai muri degli edifici.
Il quadro da cavalletto diventa una forma espressiva insufficiente: è il periodo dell’arte murale, un modo radicalmente diverso, antico e classico, di pensare l’arte; ma anche nuovo e fascista, perché “sociale per eccellenza”: un’arte che si incontra per le strade, nei luoghi di lavoro, all’ufficio postale; un’arte indipendente dal possesso individuale (un muro non si può vendere, né esporre), ma che stimola invece la committenza dello Stato; un’arte che sollecita gli artisti a misurarsi con temi alti e solenni e a superare l’intimismo.
Non solo con le grandi opere di committenza pubblica, ma anche con la sua febbrile attività di illustratore e di grafico, egli contribuì a creare un linguaggio all’ideologia Fascista: le rigide architetture diventano simbolo non più della desolazione dell’animo, ma di un ritrovato ordine classico; le figure imponenti e massicce rigenerano un’antica idea di bellezza in cui incarnare l’orgoglio patrio.
Il Fascismo di Sironi ebbe quindi, ed è bene ricordarlo, una forte vocazione sociale e la sua arte non fu mai piegata alle esigenze della propaganda, bensì al credo di un’utopia aulica ed egualitaria.
La caduta di questi ideali nel 1945, oltre alla dolorosa perdita di una figlia suicida, spazzarono ogni ombra di luce dalle sue città. Nell’ultimo periodo della sua attività, protrattasi fino alla morte nel 1961, i paesaggi urbani, dipinti in un grigio ormai monocromo, tornarono ad essere l’implacabile espressione di un dolore senza rimedio.
Su un foglio del 1945 ritrovato nel suo studio si legge: “Ogni giorno è lo sforzo immane di vivere, di resistere con questo cuore schiantato dalla enorme fatica di esistere…In certi momenti mi illudo ancora. Poi torna a soffiare il vento livido e orrendo…S’è tutto rotto in questi mesi, tutto. Non sono rimaste che macerie e paura”.
Questo fu Mario Sironi: un uomo che ha sofferto inenarrabilmente, un uomo che ha creduto, prima di tutto nella funzione salvifica dell’arte; un uomo per cui mai potrà esserci nessuna damnatio memoriae.
Dal 04/10/2014 al 08/02/2015
Complesso del Vittoriano, Ala Brasini – Salone delle mostre temporanee
Orari:
- dal lunedì al giovedì 9.30 –19.30
- venerdì e sabato 9.30 – 22.00;
- domenica 9.30 – 20.30
- Costo del biglietto: € 12,00 intero – € 9,00 ridotto
- Prevendite: www.ticketone.it
- Catalogo: Skira
- Organizzazione: Comunicare Organizzando