di Enzo Pinci (AG.RF 13.10.2015) ore 22:43
(riverflash) – Preparandomi al restauro della piazza principale e dell’ala antica di mia proprietà del Castello di Castel San Pietro, nella Sabina Tiberina, non avrei certo immaginato di scoprire l’unico paesaggio dipinto da Caravaggio. Un paesaggio che da oltre 400 anni è inserito nel quadro “Il Sacrificio di Isacco”, ma che era rimasto sconosciuto e misterioso pur essendo l’unico che ha dipinto. Questo il motivo per cui le colline e il castello sullo sfondo dell’opera del Caravaggio, non avevano un’identificazione né di luogo né di soggetto. La scoperta è iniziata partendo dallo studio di un quadro che s’intitola “Castel San Pietro” esistente a Roma, dove è esposto, a Palazzo Barberini nella Galleria Nazionale di Arte Antica. Questo quadro è uno dei quattro eseguiti da Paul Brill, pittore fiammingo, nel 1599 a cui furono commissionati da Asdrubale e Ciriaco Mattei, per dipingere i feudi, acquisiti di recente. Oltre al territorio, l’acquisizione di tali feudi portava il diritto di fregiarsi dei titoli nobiliari a loro connessi.
Castel San Pietro era un luogo comitale. Ciriaco Mattei e sua moglie Claudia Mattei avevano già dei legami con quel castello, perché Pentesilea Mattei fu la moglie di Ilario ultimo signore Orsini di Castel San Pietro, che ne fu proprietario fino a un decennio prima. Questo Castello, dalla secolare storia, fu anche di proprietà dei genitori di Clarice Orsini, moglie di Lorenzo il Magnifico.
I Mattei fecero grandi investimenti a Castel San Pietro, luogo ameno, assolato e posizionato di fronte all’importante Abbazia di Farfa. Un feudo al quale i Mattei tenevano molto, com’è testimoniato dal fatto che nella galleria di Pietro da Cortona, del loro palazzo romano, vi sono ben due lunette che hanno per soggetto questo castello, prima e dopo il loro intervento; la prima copiata dal quadro del Brill (ricordiamo del 1599, che era in una altra sala del palazzo) e il post operam per come doveva essere diventato nel 1620 all’epoca degli affreschi eseguiti da Pietro Paolo Bonsi, detto il “Gobbo dei Carracci”. Il paesaggio di Caravaggio è datato ai primi anni del 600 e si colloca a metà di queste due rappresentazioni. La scoperta interessante è che questo paesaggio rappresenta un cantiere in opera e questo è una cosa rarissima. Come si osserva nel quadro, il fatto che si tratta di un’opera in corso, è dato anche dalla rappresentazione della copertura in tela oleata che veniva usata nei cantieri dell’epoca (cfr. Nicoletta Marconi: edificando Roma barocca). Caravaggio, uomo sempre alle prese con mille problemi, aveva bisogno di più protettori, uno solo o forse un solo acquirente, non bastava, per essere maliziosi. Il Castello che appare nella sua fase di ampliamento è probabilmente un omaggio che il pittore fa ai suoi committenti – nel luogo dove probabilmente gli danno rifugio – e anche mecenati perché sappiamo che il pittore abitò presso di loro nello scorcio del seicento, ma quello che appare altrettanto interessante, perché queste grandi personalità lasciano sempre qualche quesito ai critici postumi, è che il quadro forse non finisce affatto dai Mattei ma, almeno dal 1608, fa parte della collezione di Maffeo Barberini, il futuro Papa Urbano VIII e anche lui protettore e collezionista del maestro.
Il mistero di Caravaggio, che sembra sempre accompagnare anche tutte le scoperte che si fanno su di lui continua anche in questo caso, forse anche perché, in un certo senso, è un pittore contemporaneo, visto che si parla di lui solo dalla metà del Novecento, avendo subito per secoli, una sorta di oblio. Lo stesso oblio nel quale era finito anche un altro grande artista, Francesco Borromini che sarà davvero riscoperto, anche lui di recente, e che continua, come il nostro Caravaggio ad illuminare le menti e i cuori degli artisti, senza essere affatto antico.
La modernità di Caravaggio si rivela senza dubbio, anche in quest’opera, dove lui, pittore dell’essenza dell’uomo reale, dipingendone drammi e piaghe, ma anche poeta della realtà della natura morta, dell’uva dipingendone persino gli acini corrotti dagli insetti, vuole dipingere anche la realtà delle architetture, nelle loro fasi di cantiere, per testimoniare ed elogiare l’opera e la volontà costruttrice che la sottintende. Nulla è mai lasciato al caso da questo grande protagonista della storia dell’arte.
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