11 Giu 2017
LE NOTTI BLU, DI CHIARA MARCHELLI
di Sabrina Sciabica (AG. RF. 11.06.2017)
(riverflash) – A chi rimane, è la dedica della scrittrice Chiara Marchelli per chi si accinge a leggere il suo splendido romanzo, candidato al Premio Strega 2017 e, per adesso, selezionato tra i 12 che poi saranno ulteriormente scremati in una cinquina di titoli fino alla proclamazione del vincitore il 6 luglio 2017.
Una frase che annuncia il tema fondamentale che percorrerà le oltre duecento pagine e che rimarrà come elemento chiave, anche quando il lettore, col tempo, dimenticherà i dettagli, come si fa per tanti libri, mentre il tema, così toccante, lo si ricorderà per sempre associato al titolo, Le notti blu, la cui ragione viene spiegata già nelle prime pagine.
Il testo, edito dalla Giulio Perrone Editore, è prima di tutto prova di coraggio e audacia per l’argomento trattato. Il dolore non è mai semplice descriverlo; parlare di morte e addirittura di suicidio è quasi tabù in letteratura poiché si rischia di cadere nel banale, di essere pretestuosi, arroganti.
E invece la scrittura della Marchelli è limpida, sincera, oggettiva nel tentativo di analizzare con gli strumenti umani – la scrittura e le conoscenze scientifiche – ciò che è ultraterreno e inconoscibile.
Ne Le notti blu si incontra, certamente, tanta angoscia, ma si apprezza il testo perché non c’è consolazione ad essa, piuttosto un estremo e lucido realismo. L’autrice non è mai stucchevole, il tono mai melodrammatico, l’approccio profondo e razionale come chi, con una scrittura eccellente e ricca di metafore, studia un argomento dall’esterno e tenta di descriverlo al meglio.
La novità più interessante del racconto è una visione laica di quel “dopo” che generalmente tira in ballo la fede. Qui l’autrice ha un approccio ben diverso e molto originale. Quasi una visione panteista in cui i processi naturali della terra hanno il sopravvento su qualsiasi avvenimento umano, come se l’esistenza fosse un ciclo di eventi consequenziali. In queste pagine le montagne sono vive e i bradisismi della terra ne sono esempio continuo.
Vi è una sorta di accettazione di regole che sono dettate da una madre natura così potente che non deve informarci dei suoi meccanismi, che i geologi studiano da anni (Mirko lo era per mestiere e per passione); non deve spiegarci le sue scelte che, sebbene incomprensibili ai nostri occhi, hanno certamente una loro motivazione.
E poi c’è la storia, di cui non parlo perché va scoperta pagina per pagina; è una storia quanto mai possibile, come lo è il punto di vista di Larissa, una madre che non ammette l’umanità corruttibile del figlio e lo immagina così perfetto che preferirebbe fuggire piuttosto che accettare un suo eventuale errore.
E soprattutto c’è l’amore, che continua oltre tutto, che rimane nel tempo e nei luoghi, che qui è espresso nell’attenzione all’altro (ad esempio all’interno della coppia che, tristemente, “rimane”).
Ecco, dunque, che esiste un antidoto alla morte, seppur insieme all’accettazione di una sofferenza che non svanirà mai. Quell’antidoto è la speranza, che si trova, ne Le notti blu, nella volontà dei personaggi di prendersi cura di un altro essere umano, portandosi dentro, sempre e comunque, inutile illudersi, un atroce dolore.