2 Ott 2016
“LA VITA POSSIBILE” – La recensione
di Valter Chiappa
(AG.R.F. 02/10/2016)
(riverflash) Ivano De Matteo ha confermato negli anni un indiscutibile capacità di affrontare temi di grosso impatto sociale. Lo ha sempre fatto con il dovuto approfondimento, tenendosi al largo da retorica o sentimentalismi, ma soprattutto con grande semplicità di linguaggio ed una chiarezza espositiva che non scivola mai nel banale: un cronista, o meglio un divulgatore, dei mali del nostro tempo.
Giunto di fronte alla prova più importante, al tema più insidioso e al contempo drammaticamente attuale, quello della violenza sulle donne, De Matteo realizza la sua opera più riuscita. “La vita possibile” è un film dalla misura perfetta, in cui ogni battuta ed ogni inquadratura è pesata con un bilancino di precisione.
Una storia lineare, quasi spoglia, ma che contiene in maniera esaustiva tutti i termini del problema. Una moglie che subisce ripetutamente la violenza del marito, un figlio adolescente che assiste inerme al dramma, la fuga, una città, Torino, dove cercare di costruire una nuova vita. Anna (Margherita Buy) e Valerio (Andrea Pittorino) vengono accolti da un’amica di vecchia data, Carla (Valeria Golino), attrice squattrinata e naif. Il seguito è vita quotidiana: la difficoltà di Anna a trovare un nuovo lavoro, quelle di Valerio ad integrarsi in un contesto nuovo e all’apparenza ostile, il richiamo, che a volte pare irresistibile, a ricadere nel gorgo del proprio destino di vittima sacrificale. Un solo filo di narrazione: l’infatuazione di Valerio per una prostituta dell’Est (Caterina Shulha), attraverso la quale il ragazzo esperirà drammaticamente la sua educazione sentimentale. Un episodio che però è funzionale al tema principale dell’analisi di De Matteo.
Tutti sono, siamo quotidianamente aggrediti. C’è violenza sulle donne, sembra dire De Matteo, perché c’è violenza ovunque: nell’aggressione verbale di un genitore che difende un figlio teppista, nelle avances insistite di un corteggiatore molesto, nella discriminazione, nel lavoro massacrante e mal pagato, persino nelle trappole dei vuoti legislativi, nel linguaggio dei ragazzi, nei manifesti giganteschi che sparano bocche carnose e prominenti. Fino ad arrivare inevitabilmente al sesso subito dalla prostituta, di cui Valerio è spettatore nell’episodio in cui il film ha il suo climax, e che ricorda, nella sua bestialità, la violenza fisica cui ha da sempre assistito.
Violenza che ha solo varie forme, magari non penalmente rilevanti, ma che ferisce nell’identica maniera; violenza che ha una sola madre: questa società. Ed è per questo che solo fuori da essa si può cercare una vita possibile. Come i protagonisti in fuga, che cercano riparo in personaggi ai margini: nell’amica folle e generosa che non si è mai sposata (una critica all’istituto della famiglia?); nel ristoratore, anch’esso straniero, emarginato per via di un passato oscuro; o, all’estremo limite, in una donna di strada, ma che di giorno è solo una ragazza normale, con il normale desiderio di divertirsi al Luna Park.
Il racconto di De Matteo, alla cui penna si è affiancata, come al solito, quella di Valentina Ferlan, agisce come un bisturi: minimo, essenziale, ma taglientissimo e preciso. Il suo film però non è solo sceneggiatura; è una regia attentissima a sottolineare, con le inquadrature e i movimenti della macchina, ogni particolare importante e a cancellare il superfluo; a scavare nei volti, drammaticamente denudati dal trucco; a cercare l’esatto punto di vista da cui osservare.
Il cast asseconda l’impostazione stilistica del regista, tutti intensi e al contempo misurati. Se è pleonastico elogiare per l’ennesima volta la Buy, efficacissima nel descrivere, per una volta, non solo la fragilità, ma anche la determinazione nel cercare il riscatto, se la Golino dà l’ennesima conferma di una raggiunta maturità, parole di plauso vanno spese per il giovanissimo Andrea Pittorino, non solo per il suo viso perfettamente cinematografico, ma per una interpretazione straordinariamente aderente al vero. Bravi anche i comprimari, Bruno Todeschini e Caterina Shulha; toccante in particolare quest’ultima nel rappresentare il contrasto fra una donna indurita dalla vita e la ragazza ancora in cerca di sogni.
“La vita possibile” è un film da vedere e far vedere. Perché è un bel film. Ma soprattutto per non fermare mai la riflessione, per non far tacere mai il discorso sulla violenza. È un mostro che ci assale ogni giorno e qualcuno sembra dirci che è un frutto inevitabile dei nostri tempi. No, non è così.
Dobbiamo, ne abbiamo il diritto, continuare a cercare e magari conquistare una vita possibile.
Voto: 7.5