8 Lug 2013
«LA VISPA TERESA» DI TRILUSSA, DEDICATA ALLE VECCHIE RAGAZZE CON TANTA VOGLIA DI VIVERE
(riverflash) – Luigi Sailer, scrittore quasi sconosciuto, intorno al 1850 scrisse una poesia che ebbe grande successo. Si chiamava «La vispa Teresa» e raccontava di una ragazzina vivace, che inseguiva tra i fili d’erba una gentile farfalletta.
La vispa Teresa
avéa tra l’erbetta
a volo sorpresa
gentil farfalletta,
e tutta giuliva
stringendola viva
gridava a distesa:
“L’ho presa, l’ho presa!”
A lei, supplicando,
l’afflitta gridò:
“Vivendo volando
che male ti fò?
Tu si mi fai male
stringendomi l’ale.
Dhe, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio”!
Confusa, pentita,
Teresa arrossì,
dischiuse le dita
e quella fuggì!
Nel 1917 il poeta romano Carlo Alberto Salustri, noto come Trilussa, volle raccontare ironicamente il seguito di quella storia che dedichiamo con simpatia a quelle vecchie ragazze ancora in cerca del Principe Azzurro con cui formare l’agognata «Famiglia del Mulino Bianco”.
Se questa è la storia,
che sanno a memoria
i bimbi di un anno,
pochissimi sanno
che cosa le avvenne
quand’era ventenne!
Un giorno di festa,
uscendo di Chiesa
la vispa Teresa
alzava la vesta
per farsi vedere
le calze sciffonne,
che a tutte le donne
fan tanto piacere.
Armando, il pittore,
vedendola bella,
le chiese il favore
di far da modella.
“Verrete?” “Verrò,
ma badi però…!”
“Parola d’onore!”
rispose il pittore.
Il giorno seguente,
Armando, l’artista,
stringendo furente
la nuova conquista,
gridava a distesa:
“L’ho presa, l’ho presa!”
“Così mi fai male
la spina dorsale!
Mi lasci ! Che anch’io
son figlia di Dio!
Se ha il suo programma
ne parli a la mamma!”
A quella minaccia
Armando tremò,
dischiuse le braccia,
ma quella restò!
Perduto l’onore,
sfumata la stima,
la vispa Teresa
più vispa di prima,
per niente pentita,
per niente confusa,
pensò che l’onore
non è che una scusa.
Per circa tre lustri
Fu cara a parecchi,
fra giovani e vecchi,
fra oscuri ed illustri.
La vispa Teresa
fu presa e ripresa.
Contenta e giuliva
Soffriva e s’offriva!
(la donna che soffre
se apostrofa l’esse
ha tutto interesse
di dire che s’offre!)
Ma giunta ai cinquanta,
con l’anima affranta,
col viso un po’ tinto,
col resto un po’ finto
per trarsi d’impàccio
dai prossimi acciacchi,
apriva uno Spaccio
di Sale e Tabacchi.
Un giorno, un cliente,
chiedendo un “toscano”
le tese la mano,
così…casualmente.
Teresa la prese,
la strinse e gli chiese:
“Mi vuole sposare?
Farebbe un affare!”
Ma lui, di rimando,
rispose: “No, No!
Vivendo fumando
che male le fò?”
Confusa e pentita
Teresa arrossi,
dischiuse le dita,
e quello fuggì!
Ed ora Teresa,
pentita davvero,
non ha che un pensiero
d’andarsene in Chiesa.
Con l’anima stracca
Si siede e stabacca,
offrendo al Signore
gli avanzi di un cuore
che batte la fiacca.
Ma spesso guardando
con l’occhio smarrito
la polvere gialla
che resta nel dito,
le sembra il detrito
di quella farfalla
che un giorno ghermiva
stringendola viva.
Così, come allora,
Teresa risente
la voce innocente
che prega ed implora:
“Dhe, lasciami! Anch’io
son figlia di Dio!
Fu proprio un bel caso”
sospira Teresa,
fiutando la presa
che sale nel naso.
“Se qui non son lesta
mi scappa anche questa!”
E fiùta e rifiùta,
tossisce e sternùta,
il naso è una tromba
che squilla e rimbònba
e pare che l’eco
si butti allo spreco!
Fra un fiòtto e un rimpianto,
tra un sòffio e un eccì,
la vispa Teresa…
…lasciàmola lì!
AG.RF 08.07.2013