23 Gen 2015
“LA TEORIA DEL TUTTO”: la recensione
di Valter Chiappa
(AG.R.F. 23/01/2015) (riverflash)
Il filone dei biopic, o film biografici, la cui inesauribilità è emblema della contemporanea carenza di idee degli autori, ha recentemente riscoperto la vena sempre fruttifera delle “beautiful mind”. Così sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles, dove verranno consegnati gli Oscar 2015, saliranno fianco a fianco, carichi di speranze e di nomination, “The imitation game” dedicato alla figura del matematico Alan Turing e questo “La teoria del tutto”, incentrato sulla vita privata di Stephen Hawking.
Lo scienziato, la cui immagine, resa tristemente riconoscibile dalla malattia deformante, è diventata iconica come quella di Albert Einstein; il genio, famoso come una rockstar grazie ad un interesse mediatico a cui egli stesso non si è mai sottratto e che lo ha portato ad apparire ovunque, dai cartoni dei Simpson agli album dei Pink Floyd, è il soggetto ideale per un film con ambizioni di cassetta.
Gli autori hanno scelto poi di vincere facile, puntando direttamente e senza scrupoli sul sentimentalismo andante. La vicenda è tratta dal romanzo biografico della ex moglie di Hawking Jane Wilde, che racconta le gioie, le difficoltà e l’evoluzione di un matrimonio con un uomo così particolare. Sin dall’inizio le scene commoventi abbondano, ma, nonostante la buona scrittura, si ha ben presto netta la sensazione del posticcio o dell’effetto cercato ad arte. Così occhi e fazzoletti si asciugano rapidamente e ci si rassegna ad assistere ad una soap opera dai toni edulcorati, in cui si viene a conoscenza di notizie fondamentali, fra cui le tresche di Jane col maestro del coro e di Hawking con l’infermiera personale. Pare che lo stesso Hawking, seppur toccato dalla visione del film, avrebbe preferito veder celebrate le sue conquiste scientifiche piuttosto che le sue beghe familiari.
Si ha alla fine l’idea di una occasione perduta. Non la vedono certo così i produttori che, grazie anche alla confezione impeccabile, sanno già che “La teoria del tutto” sbancherà i botteghini, richiamando alle sale spettatori dai buoni sentimenti e dal palato non troppo raffinato; sanno anche che mieterà probabilmente successi nella notte degli Oscar, in una edizione che appare, come mai prima, poco “autoriale”.
Hanno inoltre un jolly da giocarsi: l’interpretazione di Eddie Redmayne; il giovane attore inglese, proveniente dal teatro shakespeariano, si è visto consegnare il ruolo della vita ed ha risposto come meglio non poteva, presentandosi in prima fila e a petto in fuori alla corsa per la statuetta. Una performance tecnicamente ai limiti del possibile, con cui deforma corpo, arti, mani, viso per simulare l’infelice condizione fisica dello scienziato; ma a rimanere nel cuore è la perfetta riproduzione dell’aperto sorriso e dello sguardo luminoso che costituiscono i tratti salienti della fisionomia di Hawking. Questi, dosati magistralmente e con misura sempre crescente al progredire della malattia, emergono alla fine come lampi, barlumi di una luce sempre viva dalla notte di un corpo immobilizzato, raccontando con la migliore efficacia possibile lo spirito indomabile del protagonista.
Verrebbe da dire un’altra vita meravigliosa tritata negli ingranaggi dello star system. Si potrebbe disquisire su quanta arte e quanta industria ci sia in questo film, su quanto sia un prodotto seriale e quanto un sentito omaggio.
Ma non date retta al vostro noioso inviato. Non fatevi troppi problemi e andate a vedere “La teoria del tutto”, vi piacerà: è fatto per questo.
Voto: 6.5