*** – AG.RF 23.08.2014 (ore 11:46)
(riverflash) – Un paese arrampicato sui monti Simbruini, tra Lazio e Abruzzo, la cui storia si interrompe il 9 gennaio 1859, quando si stava completando l’Unità d’Italia. Si chiamava Camerata e della sua fine si sapeva poco, solo la tradizione orale tramandata da padre in figlio, a volta mischiata a voli di fantasia. Poi un quadro di August Wechesser, pittore svizzero della metà del 19esimo secolo, svela una verità. Il titolo dell’opera è «Brand in Sabinegebirge», cioè Incendio in Sabina, territorio abbastanza vicino a Camerata che in Svizzera evocava suggestioni storiche tipo il Ratto delle Sabine. I monti Simbruini, invece, non evocavano nulla. Probabilmente deve essere stato questo il ragionamento di Wechesser, quando ha attribuito in titolo alla sua opera. Non immaginava certamente che, nel settembre 2009, Stefano Nardi e Sante Fioravanti trovassero su internet il quadro «Camerata, Felsendorf im Sabinegebirge bei Rom». L’opera, che ritrae Camerata com’era e dello stesso autore «Brand in Sabinegebirge». Il paese che bruciava in Sabina era Camerata Vecchia, per distinguerla dall’attuale Camerata Nuova, ed era situata in alto, vicino al santuario della Madonna dei Bisognosi, dove ha vissuto Luigi Lusi, ex-tesoriere della Margherita, dopo la condanna per essersi appropriato indebitamente dei fondi del partito (oltre 25 milioni) in cui militavano, fra gli altri, Renzi e Franceschini. L’opera di August Wechesser è custodita nel museo di Schaffhuse in Svizzera. Camerata Nuova, invece, sorge ai margini meridionali della Piana del Cavaliere, in un’enclave del Lazio tra i paesi abruzzesi di Rocca di Botte e Pereto. Un paese tranquillo dove passano i pellegrinaggi verso la SS Trinità, niente a che vedere con Camerata Vecchia, rifugio di briganti che scorrazzavano al confine tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie. Ancora oggi si trovano i ceppi di confine in pietra con gli emblemi dei due Stati. Con loro a mettere su famiglia donne che stavano a loro agio con malviventi e tagliagole. Un nucleo abitato che metteva paura ai contadini della zona, spesso intimiditi e a volte derubati. Potrebbero essere stati loro ad appiccare l’incendio che ha distrutto il paese vecchio, dove non c’era un acquedotto, ma l’acqua piovana si raccoglieva in cisterne ubicate sotto al pavimento delle abitazioni. Difficile, quindi, servirsene per spegnere il fuoco. Altra versione è che l’incendio fosse partito dal camino della casa di Simone Pelosi e, dopo aver bruciato il tetto, avesse aggredito le altre case sulla spinta di un forte vento che soffiava da Cappadocia. Una terza versione parla di sicari dei Borbone per danneggiare il territorio papale agli albori dell’Unità d’Italia, che avvenne nel 1860. Morirono 6 persone, ci furono molti feriti e, soprattutto ci fu la distruzione del paese e il suo abbandono.
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