30 Apr 2016
LA GRANDE INTERVISTA DI TRUFFAUT A HITCHCOCK È DIVENTATA UN FILM
AG.RF 30.04.2016 – La lunga intervista di Truffaut ad Hitchcock dell’agosto del 1962 nell’ufficio del regista americano negli studi della Universal ad Hollywood è diventata un film. Anzi un bellissimo film, diretto e costruito da Kent Jones, dal titolo Hitchcock/Truffaut. E i nostri lettori non si preoccupino: non ci sono due attori che interpretano i due registi. Sullo schermo vedranno proprio Hitchcock intervistato da Truffaut attorno ad un tavolo tondo. Accanto a loro troviamo seduta solo Helen Scott, l’interprete appositamente portata da Truffaut. Sul tavolo un registratore e materiali per appunti.
Parleranno dei film realizzati dal regista inglese e più in generale del cinema per più di una settimana. Nascerà così un libro che Truffaut riuscirà a pubblicare solo 4 anni dopo, frenato dalla volontà di dare alle stampe un’opera unica nel suo genere e volendola curare più di un suo film. Ma il libro si arricchirà di nuovi capitoli a mano a mano che usciranno altri film di Hitchcock, perché i due registi divennero amici e continuarono a restare in contatto costante per via epistolare, salvo anche incontrarsi nel 1972 a Cannes, ove Hitchcock presentò Frenzy, che fu accolto molto bene dalla critica. In quell’occasione Truffaut, su incarico di una rivista, riprese ad intervistarlo brevemente.
Il film di Kent Jones ci riporta nell’atmosfera dell’intervista e ci fa ascoltare interi brani ove i due registi diventano protagonisti di una complessa dialettica, nella quale Truffaut ha anche l’opportunità di parlare talvolta di sé, pur senza deviare dal suo fine principale: spingere Hitchcock a parlare dei suoi film, svelare i segreti delle sue inquadrature, mettere a nudo il suo stato d’animo di fronte alla cinepresa. Quando si sono incontrati la prima volta in quella mattina di agosto Truffaut aveva girato appena 3 film, Hitchcock una quarantina.
Certamente molti su chiederanno: cosa ha spinto Truffaut ad intraprendere quella lunga intervista? E perché proprio ad Hitchcock? Truffaut era sbalordito del fatto che in America Hitchcock fosse considerato dalla critica come un semplice artigiano di film gialli ad effetto, mentre in Francia veniva altamente stimato soprattutto da quella schiera di critici e registi che si era raccolta attorno ad Andrè Bazin e ai “Cahiers du cinéma”. Si pensi che anni prima, quando Hitchcock era sulla Costa Azzurra per girare “Caccia al ladro”, i due giovani collaboratori dei “Cahiers”, Truffaut e Chabrol, erano partiti da Parigi per la Costa per tentare di incontrarlo ed intervistarlo. Ma ebbero poca fortuna!
Insomma il modo col quale Hitchcock era stato trattato in America, almeno fino al grande successo di Psyco, non andava giù al regista francese, che ebbe modo di rinfacciarlo agli americani proprio in una occasione che voleva essere in certo senso riparatoria da parte della critica statunitense. Il film Hickcock/Truffaut indugia su questa occasione nella sua parte finale: è il 7 marzo 1979 ed è la serata d’onore organizzata a Beverly Hilton dall’American Film Institute per celebrare il regista inglese mai troppo amato negli States. Sullo schermo vediamo un Truffaut più maturo e sicuro di sé, rispetto alle prime sequenze del film, quelle riferite all’inizio dell’intervista, salire sul palco ed affermare sorridendo: “In America chiamate quest’uomo Hitch. In Francia lo chiamiamo Monsieur Hitchcock…” Ma se apriamo il libro nella nuova edizione (intitolato “Il cinema secondo Hitchcock”) a pg. 289 possiamo leggere della pessima impressione che ebbe il regista francese di quella serata: “…il titolo insieme glorioso e mortuario (Omaggio al lavoro di una vita), mi lascia un ricordo sinistro, sinistro e macabro…Sapendosi già condannata dal cancro, Ingrid Bergman, che presiedeva e animava la serata, rimase sconvolta vedendo Hitchcock e la moglie in così cattivo stato. Dietro le quinte mormorava: “Perché si organizzano sempre serate del genere quando è troppo tardi?”…Alfred e Alma Hitchcock facevano atto di presenza, ma la loro anima non era più lì e – aggiunge un po’ sinistramente Truffaut – non avevano più vita della madre di Antony Perkins impagliata nella cantina gotica.”
Il film di Kent Jones è anche arricchito dagli interventi di grandi registi che hanno studiato Hitchcock e hanno fatto di lui un fondamentale punto di riferimento per contenuti, stile, movimenti di macchina da presa, funzione del montaggio, ecc. Quei registi sono importanti proprio perché c’è stato Hitchcock prima di loro. Hitchcock fa parte della loro esperienza e ormai del loro DNA cinematografico. Parliamo di Wes Anderson, Peter Bogdanovich, David Fincher, James Gray, Martin Scorsese, Paul Schrader, Arnaud Desplechin, Olivier Assayas, Kiyoshi Kurosawa e Richard Linklater. Le affermazioni di questi importanti registi aiutano lo spettatore a capire il senso vero del cinema di Hithcock, attraverso passaggi fondamentali di alcuni suoi film. Si prenda ad esempio Psyco e le osservazioni fatte da Scorsese sulla fuga in auto della protagonista, Janet Leigh, dopo il furto dei soldi dal suo ufficio. C’è tutta un’attenta disanima sulla scelta dell’inquadratura che vede l’attrice al centro dello schermo intenta alla guida. Hitchcock la inquadra in modo tale che lo spettatore vedrà il volto proprio al di sopra dello sterzo, nervosamente manovrato, proprio a rendere più drammatica la sequenza. Ogni spettatore certamente riceverà tutta una serie di fondamentali suggerimenti interpretativi dalle affermazioni di registi tanto importanti.
La regia di Kent Jones, naturalmente, non può che fare una selezione della miriade di osservazioni, domande e risposte contenute nelle quasi 300 pagine di intervista (comprese le lettere scambiate successivamente), soffermandosi su alcuni aspetti più significativi. In particolare ho apprezzato molto il modo col quale Jones rende conto del colloquio tra Hitchcock e Truffaut a proposito de “La donna che visse due volte” (che in realtà si intitola “Vertigo”). Le parole di Truffaut e Hichcock sono fuori campo, mentre scorrono le immagini di una scena chiave del film, allorchè John (James Stewart) chiede alla “ritrovata” Madeleine (Kim Novak) di pettinarsi nello stesso modo col quale usava fare il suo amore perduto, Judy. In realtà Judy e Madeleine sono la stessa persona, ma John non lo sa, perché crede che Judy sia morta. Madeleine va nel bagno per accontentare John. A questo punto Hichcock parla del senso altamente erotico di quella scena e ci fa capire che qui si tratta di “sesso psicologico”. “Ed è qui – prosegue – la volontà che spinge quest’uomo a ricreare un’immagine sessuale impossibile; in poche parole quest’uomo vuole andare a letto con una morta, si tratta di necrofilia.” Il fatto che la pettinatura sia incompleta simboleggia – dice Hitchcock – che la donna è quasi nuda davanti a lui, ma si rifiuta ancora di togliersi le mutandine….James Stewart attende. Attende che ritorni nuda questa volta, pronta per l’amore.”
Questa bellissima sequenza e la decifrazione “autentica” di Hitchcock ci porta a riflettere di quanti simbolismi e metafore a sfondo erotico siano pieni i suoi film. In un periodo nel quale ad Hollywwod era impossibile mostrare parti intime, i film del grande regista inglese sono portatori di un sottile ma chiaro erotismo, attraverso le immagini, le espressioni dei volti, le allusioni: eppure si tratta di scene estremamente castigate.
Allo stesso modo l’intervista si sofferma su altre sequenze di altri film fondamentali, ad esempio la scena della doccia in Psyco sviscerata in tutti i particolari anche meno noti e la scena del bacio, anzi dei baci, tra ingrid Bergman e Cary Grant in Notorius, con i due attori che protestano perchè trovano imbarazzante quello che Hitchcock preetende da loro. E il regista risponde di fregarsene del loro imbarazzo.
Infine mi piace ricordare un passaggio di una lettera di Hitchock a Truffaut, ignorata dal film di Jones, nella quale con grande cortesia e affetto gli scrive di aver visto con piacere il suo ultimo film “Il ragazzo selvaggio” e di averlo apprezzato molto. E soprattutto di avere apprezzato l’attore scelto per la parte del protagonista! (che in realtà era lo stesso Truffaut!). Hitchcock era fatto anche così!
“Hitchcock/Truffaut ci dice queste e tante altre cose ancora. Del film e del libro/intervista che lo ispira se ne potrebbe parlare per ore. E per me sarebbe sempre poco. Non a caso è uno di quei rari film per i quali io, vedendo scorrere i titoli di coda, ho sussurrato ad un amico che mi accompagnava: “Già finito? Peccato! Ma il regista non poteva soffermarsi su altri aspetti dell’intervista? C’era ancora tanto da dire e da mostrare!”
Fonte: rivegauche-filmecritica.com