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“LA BELLA GENTE”: la recensione

LA-BELLA-GENTE-poster-locandina-2015

di Valter Chiappa

(AG. R.F. 10/09/2015) (riverflash)

Ivano De Matteo non racconta, fotografa. Non analizza, seziona. E ci fornisce spaccati implacabilmente veri della nostra società. Non realtà marginali, microcosmi inesplorati, ma il mondo più comune, quello che ci circonda quotidianamente, quello che pensiamo di conoscere. La sua lente ce ne restituisce un’immagine nitida, in piena luce, spietata nel rivelare ogni dettaglio. Ha trattato il dramma esistenziale dei separati in “Gli equilibristi”, il conflitto generazionale nella famiglia borghese in “I nostri figli”, film in cui la finzione si sottomette a un intento quasi documentaristico.

Per descrivere “La bella gente” gli basta una manciata di personaggi, tutti apparentemente noti, ma che ci appaiono finalmente a tutto tondo, nel loro insanabile squallore.

La coppia benpensante: lui (Antonio Catania) colto e mite fino all’ignavia, lei (Monica Guerritore) tormentata dall’insoddisfazione di non essere quel che desiderava essere. Gli arricchiti (Iaia Forte e Giorgio Gobbi), che ostentano arroganza e volgarità fino al disgusto. Il figlio di papà (Elio Germano), con la sua macchinina rombante e l’andatura dinoccolata, che dalla passata generazione ha ereditato il cinismo, ma che unisce ad una raggelante spensieratezza; la fidanzata pariolina (Myriam Catania), capricciosa e spietatamente intollerante. “La bella gente”. Quante volte l’abbiamo vista. Ma, grazie a Ivano De Matteo, mai come questa volta la disprezzeremo e la compatiremo.

La tecnica narrativa del regista è poi semplice: in quel quadro, tranquillo e perfettamente delineato, getta una bomba. Susanna, la moglie progressista, prova a dare senso ad una vita vuota e costringe il marito a rapire una giovanissima prostituta (Victoria Larchenko), per salvarla dalla strada. La inseriscono nel loro mondo, fatto di cenette, bagni in piscina e chiacchiere di circostanza. Le reazioni saranno scomposte, molte le possiamo anche prevedere, ma alla fine la sola vittima sarà quella povera ragazza, ancora una volta sfruttata e poi pagata.

“La bella gente” è un film profondamente onesto, come tutta la produzione di De Matteo, regista attento all’obiettività, a non scivolare nel moralismo, a non indulgere nei sentimentalismi. A noi è lasciato il giudizio, De Matteo ce ne da tutti gli elementi; lui solleva la discussione e si ritrae, il dovere che sente è la denuncia.

Luci ed ombre invece nel cast. I protagonisti, Catania e Guerritore, ottimi comprimari in tantissimi film, non hanno spalle larghe per i ruoli principali, che interpretano con mestiere consumato, ma senza trasmettere il dovuto pathos. Per contro a toccarci dentro è la pressoché esordiente Victoria Larchenko, struggente nel dipingere il dolore e la rassegnazione, efficacissima nel trasformare lo sguardo freddo e disincantato della prostituta in quello dolce e sfuggente della ragazzina che prova a coltivare ancora dei sogni. Quasi pleonastico invece l’elogio a Elio Germano che, rivelando ancora una volta un talento assoluto, gonfia il vuoto del suo personaggio con una intera gamma di espressioni e di posture, costruendo una caratterizzazione al contempo fotografica e carica di una satira corrosiva.

“La bella gente” è un film del 2009. Giunge nei cinema italiani a più di sei anni dall’ultimo ciak, sull’onda del successo ottenuto dai lavori successivi, “Gli equilibristi” e “I nostri figli” appunto. A nulla sono serviti i riconoscimenti ottenuti nelle rassegne e la calorosa accoglienza ricevuta nelle sale d’oltralpe, per evitargli di rimanere intrappolato in pastoie che ne hanno frenato il cammino. La scarsa lungimiranza dei nostri addetti più lavori o meglio la scarsa considerazione delle istituzioni verso la produzione culturale di casa nostra, sono specchio eloquente della triste condizione italiana. Ivano De Matteo potrebbe farne un film. Sì, chi meglio di lui?

Voto: 6.5

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