di Giuseppe Licinio (AG.RF. 01.06.2014)
(riverflash). La volontà dei cittadini europei è sembrata chiara alle ultime elezioni europee. Per la prima volta, scegliendo un partito, hanno potuto anche indicare il rispettivo candidato alla presidenza della Commissione Europea. Il partito più votato con 213 seggi è stato il Ppe e quindi sembrava naturale che il posto di Barroso sarebbe stato preso dal candidato del Ppe, il lussemburghese Jean-Claude Juncker, fortemente voluto dalla Cancelliera Angela Merkel. Ma già all’indomani delle elezioni, su quella nomina è iniziato un braccio di ferro che vede coinvolti, in ordine sparso, presidenti dei gruppi politici dell’europarlamento e Capi di Stato. Perchè improvvisamente Juncker non sarebbe più il candidato naturale a quella carica?
In primis per via del “terremoto euroscettico”. Il risultato del voto (un quarto dei seggi è andato alle forse anti-europee) esprime un netto stop alle politiche rigoriste dei Popolari. Juncker in particolar modo è un difensore dell’austerity e non è favorevole a nessun allentamento delle regole sul deficit. “Per cambiare i trattati ci vuole l’unanimità” ha dichiarato “e sul fiscal compact l’unanimità non c’è”. Dichiarazione non di buon auspicio per l’Italia visto che a giugno la Commissione aprirà contro il nostro Paese una procedura d’infrazione per squilibri macroeconomici sia perché l’Italia ha rinviato il pareggio strutturale di bilancio dal 2015 al 2016 sia perché si rifiuta di rispettare i vincoli sul debito per la parte che riguarda la riduzione di spesa permanente da 4-5 miliardi. Il premier Renzi ha quindi bisogno che la guida europea non venga affidata ai falchi monetari che inevitabilmente metterebbero in difficoltà il suo governo. La novità è che il Pd con il suo 40,8% (e la secca sconfitta dei partiti socialisti in Francia e Spagna) per la prima volta può presentarsi come vincitore al tavolo dei capi di governo e far pesare i suoi voti anche per la nomina del futuro presidente della Commissione Europea. Oltre al governo italiano, però, anche gli altri Paesi del mediterraneo temono il proseguimento delle politiche di austerity in caso di una presidenza Juncker.
“Troppo europeo”. Junker non riscuote le simpatie nemmeno del premier britannico David Cameron e di quello ungherese Viktor Orbàn perché sarebbe un “super europeo” secondo la definizione di una diplomatica londinese. La Merkel, grande sostenitrice di Juncker (non tanto perché esponente del suo partito quanto perché vuole evitare che la guida della UE sia affidata a un tedesco e che quindi la Germania appaia troppo direttamente coinvolta nella guida dell’Europa) non vuole rompere con Cameron e quindi sta cercando un terzo nome, rispetto a Juncker e Schulz, su cui far convergere anche gli altri Capi di Stato.
La partita delle nomine. In questi veti su Juncker c’è però anche una buona dose di pretattica per alzare il prezzo in vista delle nomine previste nelle prossime settimane: le presidenze del Parlamento, della Commissione e del Consiglio, il nuovo responsabile della politica estera e della sicurezza e il presidente dell’Eurogruppo. Insomma un clima di manovre, veti, aspirazioni personali che contrasta con il quadro democratico uscito dal voto. Per quanto non condivisibile possa essere.
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