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“INDIVISIBILI” – La recensione

05_Indivisibili

di Valter Chiappa

(AG.R.F. 10/10/2016)

(riverflash) La penna di Nicola Guaglianone, sceneggiatore di “Lo chiamavano Jeeg Robot” ama osare; raccontare storie inedite, mescolare registri, reinventare generi, così come accaduto per l’acclamato film di Gabriele Mainetti. In “Indivisibili”, assieme al regista Edoardo De Angelis (“Mozzarella stories”, “Perez”), ci racconta un’altra favola, così come sa fare lui, utilizzando ingredienti in insolito accostamento, a volte in stridente contrasto, ma rivestendoli comunque con un alone di purissima poesia.

L’ambientazione, fondamentale, è sparata subito nella sequenza iniziale. Dall’estrema periferia di Roma, andando incontro al napoletano De Angelis, si arriva all’estrema periferia della Campania, o forse d’Italia: quel litorale domizio, territorio devastato dal degrado più totale, dai rifiuti tossici, dall’abusivismo edilizio, ormai propaggine d’Africa e di ogni terzo mondo possibile. Ma se Enzo Ceccotti, pur nella sua solitudine, si inseriva perfettamente nella sua Tor Bella Monaca, fra le case fatiscenti di Castelvolturno Guaglianone colloca due angeli: le gemelle Viola e Daisy (Marianna e Angela Fontana).

Le ragazze sono siamesi, unite all’altezza del bacino (il loro nome è una citazione delle sorelle Daisy e Violet Hilton di “Freaks”). Dotate di una voce melodiosa, si esibiscono nei ricevimenti trash della zona cantando le canzoni neomelodiche scritte dal padre (Massimiliano Rossi), che gestisce e sfrutta il loro talento. La loro menomazione fisica fa da richiamo, ma non sono dei fenomeni di baraccone. Si presentano con un abito argenteo, i visi puliti e luminosi; freaks appaiono piuttosto i grotteschi personaggi che le circondano. In quel coacervo multietnico dalla religiosità paganeggiante, attorno alle loro figure si è addirittura costruita un’aura mistica. La pura bellezza e quella insolita caratteristica fisica sono viste come segni del Soprannaturale e le ragazze venerate come sante; un sordido prete (Gianfranco Gallo) alimenta il culto spontaneo per governare il suo colorito gregge.

La descrizione iniziale è così tutto un giocare fra estremi opposti: fra pura bellezza e squallore senza rimedio, fra candore e aberrazione morale. Ma anche le due ragazze, sin dalla prima sequenza, in cui una si tocca mentre l’altra dorme placidamente, appaiono come due emisferi di un’entità che in realtà pare unica. Viola dall’animo semplice e disposta a contentarsi del suo poco, Daisy inquieta e pronta a farsi valere quando occorre. Ragione ed istinto: due anime diverse unite dal caso o un’anima sola separata fra due teste e due nomi?

Vivono così Viola e Daisy, chiuse nel loro piccolo mondo, nella loro casupola fatiscente, con un padre padrone diviso fra le velleità da artista e il vizio del gioco e una madre (Antonia Truppo) che si assenta nel fumo delle canne, davanti a quella lurida spiaggia, in mezzo a quel degrado. Ma hanno ugualmente i sogni e le pulsioni di ogni altra adolescente del mondo. Vivono così, vincolate, così come uniti sono i loro corpi, ad un destino che pare ineluttabile, finché un medico svizzero (Peppe Servillo) diagnostica, e gli accertamenti clinici lo confermano, che le ragazze possono essere divise senza rischi con un semplice intervento chirurgico.

Dividere. Questo diventa il tema dominante. Dividere: è la parola che ossessivamente Daisy cerca di inculcare nella mente della sorella in una delle scene più intense del film. Perché è ovviamente Daisy che intraprende con decisione quel cammino che rappresenta un percorso di crescita. Lo farà, sempre trascinando Viola, affrontando mille traversie. Lo farà fino alle estreme conseguenze, perché crescere comporta sempre uccidere una parte di sé. Ma ci si può dividere? In fondo ci si divide mai?

Questa la poetica favola di De Angelis e Guaglianone.

Ma c’è un aspetto, altrettanto favolistico, che contribuisce in maniera determinante a rendere “Indivisibili”, così com’è, un film bellissimo: la presenza delle gemelle Fontana, esordienti provenienti dal mondo dei talent show (sì, a volte i miracoli accadono). Innanzitutto per la presenza scenica: i volti delle sorelle napoletane colmano ed illuminano lo schermo; se ne avvede De Angelis che li insegue costantemente, confezionando inquadrature preziose (di valore pittorico la sequenza in cui sono portate in processione addobbate come Madonne pagane) o inseguendole freneticamente con la camera a mano. Ma intensa e toccante è anche la loro interpretazione, favorita dall’uso di un dialetto campano strettissimo, efficace nel rappresentare le diversità, viscerale nell’esprimere l’inestinguibile sentimento fra le due sorelle.

La regia di De Angelis è impeccabile: non solo capace di alimentarsi del materiale umano fornitole dalle protagoniste, che a sua volta valorizza col gesto tecnico; ma anche lapidaria nei piani sequenza con cui fotografa implacabilmente i desolanti scenari dell’ambientazione; e visionaria nella costruzione delle scene con cui dipinge il contrasto fra bellezza e bruttura, fra favola e realtà che è il vero leitmotiv del film. Ottimi gli interpreti secondari. Se Antonia Truppo (David di Donatello come migliore attrice non protagonista per “Lo chiamavano Jeeg Robot”) si conferma una caratterista affidabile, Massimiliano Rossi, proveniente dall’ambiente teatrale partenopeo, è volto che si impone per intensità. La colonna sonora di Enzo Avitabile, satura di contaminazioni, si sposa perfettamente col melting pot culturale rappresentato nel film.

Cosa manca allora a “Indivisibili” per essere un capolavoro? Nulla: c’è troppo. La storia di Dasy e Viola forse avrebbe avuto bisogno di più linearità, di parlare solo con la sua poeticità. Guaglianone, nella sua foga innovativa, utilizza, mescolandoli, vari linguaggi: la favola, il crudo realismo, il grottesco, la satira. Ma stavolta l’amalgama non è perfetto. Lo scenario retrostante, nella sua drammaticità, urla troppo e non si contenta di essere uno sfondo. Il grottesco è insistito forzatamente nella scena, che appare sovrabbondante, dello yacht popolato da freaks del laido impresario (che porta l’evocativo nome di Marco Ferreri) perversamente attratto dalle deformità.

Ma, nonostante questo, “Indivisibili” resta un film da vedere assolutamente. L’obiettivo di Edoardo De Angelis e la penna di Nicola Guaglianone, con tecnica e creatività, aprono nuove prospettive al nostro cinema e al cinema in generale. Questa volta non correranno verso gli Oscar. Ma la strada è aperta.

Voto: 8-

 

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