di Francesco Angellotti (AG.RF 12.03.2024)
(riverflash) – Il Trio Debussy è il più longevo tra i vari gruppi italiani; sorto a Torino nel 1989, è stato apprezzato anche all’estero, nei Teatri più importanti. Indicativa la loro ispirazione da cui hanno assorbito il nome: Claude Debussy, un grande musicista nato a Saint-Germain-en-Laye nel 1862, che all’inizio sentì l’influenza barocca, ed ebbe come ispirazione le composizioni di Chopin e Chajkovski.
Con perfetta sincronia ed intesa musicale, il Trio ha eseguito il più grande ed impegnativo autore, la cui espressione giunge all’apoteosi. Francesca Gosio violoncello, Piergiorgio Rosso violino, Antonio Valentino pianoforte, sono stati eccezionali nell’esecuzione di brani importanti nella marea tramandata da Beethoven.
Sovente non viene rilevato, ma come il Compositore sia riuscito ad evolvere lo spirito in modo così elevato, dovrebbe essere esempio, per trovare il Senso della Vita; non legata ad apparenze e superficialità, ma in Valori essenziali, espressione di creatività personale, percepita nelle sensazioni generate dall’intimo.
L’ascolto è iniziato con “Allegretto in Si bemolle magg. WoO 39”, dedicato alla piccola Maximiliane Brentano, come incoraggiamento agli studi di pianoforte. La tenerezza spinge Ludwig a comporre un’opera di un solo movimento, allegretto, con succinte sezioni formali, in un’armonica forma Sonata come fosse piccola miniatura.
La non eccessiva interpretazione sui tasti viene accompagnata allegramente da violino e violoncello, formando una divertente sequenza: in cui l’impostazione della radice da cui Beethoven ha appreso, il maestro Haydn, si avverte lampante, pur con modificati tratti stilistici, cercando un diverso modo d’espressione.
Dopo un inizio così trascinante, si è passati ad un Trio, in Do min. Op 1 N3, in cui erano articolati 4 Tempi: Allegro – Andante cantabile con variazioni – Minuetto quasi allegro – Finale Prestissimo; nonostante che in maturità l’Autore era solito stringere le Composizioni in pochi Tempi, anche se molto ricchi nelle diversità stilistiche: soprattutto nelle Sinfonie, che ne son potute essere scritte solo 9.
Nonostante che il Trio sia d’ età giovanile, ormai Beethoven si era allontanato dalla tradizione clavicembalistica; così la stesura acquista in timbri più ampi, come per esempio nel Minuetto, in cui si allontana dall’ormai noioso ritmo settecentesco, inserendo frequenti cambiamenti tonali , quasi come in uno Scherzo; forse lo spartito ha avuto una lunga stesura, ma con certezza è stato terminato nel 1811.
Una pausa ci voleva; anche breve, ma raccogliere tutta la carica emotiva lanciata in modo così travolgente, si è avuto un attimo bisogno di una pausa, per metabolizzare il contenuto, onde prepararsi alla seconda parte.
Infatti è stata eseguita una delle composizioni più enfatiche, in cui l’alternanza dei ritmi è travolgente.
Per questo, composto il Trio si Si bemolle magg. Op 97, fu fatto ascoltare per la prima volta dopo pochi anni, alla presenza del caro amico l’Arciduca Rodolfo d’Asburgo. Stesso Beethoven volle orgogliosamente essere
l’esecutore al pianoforte, strumento che suonava in modo eccezionale.
Non fu ne’ bello ne’ brutto come ascolto: diciamo, con un po’ di realismo, allucinante.
Beethoven oramai era sordo, a causa di una ipoacusia che lo colse prima dei 30 anni; ma nella Compositore Musicale, era disperata la sua ritrosia verso il male che lo aveva colto, e reagiva lottando contro di essa. Ciò comportò che l’esecuzione fu completamente sfalsata, con i “piano” che non si sentivano ed i “forte” che, non sentendoli, Beethoven li cercava tasteggiando con violenza; certamente il concerto non fu eseguito fino alla fine, il povero Autore fu consigliato di “lasciar perdere”, non poteva venir fuori una Musica “decente”.
Pensate al trauma che ha dovuto subire chi si ostinava ad insistere di poter coordinare quel che sentiva, ormai, solo nella sua mente. Infatti vien da supporre che le sue Opere, fossero frutto di quel che veniva orchestrato mentalmente, nel suo cervello. Ma non sentire quel che componeva, obbligava a far assorbire una situazione allucinante. Ed infatti ne seguì un periodo in cui Tutto era messo in discussione; una cosa salvò dal baratro: la Musica.
Aveva una ragione per dare espressione alla sua interiorità, racchiusa nell’espressione musicale. Ogni contesto era identificato nella dimensione del suo Essenziale; non esisteva più la Forma o il Modo, in quanto importante era solo il Valore. Certo caratterialmente ne ebbe influenza, troncando i rapporti; non per volontà, ma per mancanza di scambio: che fin ad allora non riusciva ad attutir con parvenza.
Quest’emblema è rimasto lapidario per capire quanto musicale sia stato il suo Spirito; per la sua ampiezza nella composizione, creatività espressiva, ripetuta in una varietà timbrica che non lascia supporre il modo in cui avviene il cambiamento ritmico: che ascoltandolo sembra dovesse essere l’unico possibile.
Il Trio Gosio – Rosso e Valentino ha portato al Teatro Secci di Terni quanto di più Bello ed Importante poteva essere presentato al momento attuale, in cui tutti si rendon conto di dover trovare nuovi Valori … di cui nessuno riesce ad individuare quali siano.
I Musicisti, osannati per l’ esecuzione, hanno accondisceso a salutare con un Bis; ma non sarebbe stato possibile accostare un altro brano a quanto appena ascoltato; quindi han cambiato genere, suonando uno scherzo molto brillante, anche se non proprio artistico. Come il 2° Bis, già più classico nella composizione, ma certo non paragonabile.
Il ringraziamento del folto pubblico è partito dal Cuore; In cima Beethoven, poi gli altri: anche super ed eccellenti.
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