11 Mag 2015
“IL RACCONTO DEI RACCONTI”: la recensione
di Valter Chiappa
(AG. R.F. 11/05/2015)
(riverflash) Bravo Garrone!
Come gli altri cavalli di razza del cinema italiano scalpita e come altri (Sorrentino) ha compreso di non dover correre il rischio di restare impantanato nelle mefitiche paludi del provincialismo e, anche se “Gomorra” lo ha già portato nel mondo, di dover puntare a scenari internazionali e grandi produzioni. Per il suo definitivo tentativo di decollo, che avviene in questi giorni dai palcoscenici di Cannes, Matteo Garrone azzecca ogni mossa. Propone un fantasy, genere sicuramente di facile accesso e di appeal universale. Gira in inglese. Chiama a sè attori di grido: la rediviva Salma Hayek, l’affascinante Vincent Cassel, il talentuoso Toby Jones. La musica, che pregna completamente il sonoro, viene dalla penna del compositore vip Alexandre Desplat. Ma ciò che è coraggioso e ci fa plaudere all’opera di Garrone è che il regista romano, nel suo messaggio verso il mondo, esalta in maniera al contempo colta e popolare, oltre che non stereotipata, la grande cultura italiana.
Lo fa scegliendo la favola. Non ovviamente quella didascalica di Fedro ed Esopo, ma la favola come più comunemente la intendiamo oggi. Perché la favola non è di Andersen o dei Fratelli Grimm; non è quella edulcorata e subliminalmente perversa di Walt Disney, né tantomeno una delle ipertrofiche elaborazioni computerizzate dei blockbuster americani. La favola è italiana. Secondo la storia della letteratura, nasce ufficialmente con “Lo cunto de li cunti”, raccolta di 50 fiabe in lingua napoletana scritte da Giambattista Basile ed edite a Napoli fra il 1634 e il 1636. È un genere tipicamente popolare; associa senza sfumature l’amore e la morte, l’orrendo ed il comico, il solenne ed il grottesco, l’infimo e il sublime. Tocca temi universali ed antichi come l’uomo: la ricerca dell’eterna giovinezza, l’ineluttabilità del Fato, l’espiazione e la catarsi attraverso il dolore. Ma, con la semplicità e l’infallibilità della saggezza popolare, entra anche nelle dinamiche che sarebbero stato futuro pasto della psicanalisi: l’amore viscerale e soffocante delle madri, quello egoista e disattento dei padri, l’amore inteso come possesso e dominio di chi non sa amare. I suoi protagonisti sono Orchi e Principesse, Regine e Cameriere, Miserabili e Re, come rappresentazione di quella terribile lotta fra gli Opposti, che è la vita. È una favola, ma tutto è verosimile. È solo una spolverata di magia, quella che basta a rendere favola la realtà. I pochi, necessari, effetti speciali sono, appunto, quella polvere magica che trasforma l’innocua vecchina in una Strega bellissima, una ragazzina paffutella in una Principessa sognante, le vecchie case di pietra in un borgo fatato, un antico rudere in un maniero incantato.
A questo proposito, un cenno doveroso va alle location del film. Già Sorrentino, nella sua ambiziosa operazione di marketing, aveva compreso l’importanza dell’ambientazione, avocando a sé il set perfetto, la Città Eterna, di cui, nel mentre denunciava il potere mortifero sugli uomini, mostrava all’universo mondo l’abbacinante e sempiterno fascino. Garrone sceglie una serie di location meno conosciute, ma testimoni eloquenti di quanta e quale bellezza, spesso nascosta, il nostro Paese possa offrire ai visitatori. Dà ovviamente grande risalto alla riconoscibilissima silhouette di Castel del Monte con le sue torri ottagonali, ma spazia poi dalla Toscana, filmando nel Castello di Sammezzano di Reggello e nei borghi di Sovana e Sorano, alla Sicilia, di cui mostra il Castello di Donnafugata e le Gole dell’Alcantara, all’Abruzzo, ove sceglie il Castello di Roccascalegna come dimora di uno dei re protagonisti.
“Il racconto dei racconti” è un bel film. Le immagini assecondano a pieno la ricca materia di cui si nutre, fatta di mistero, di sogno, di sangue, di bellezza. Non importa che alcune interpretazioni non siano all’altezza (Cassel, come al solito, va di mestiere, la Hayek può essere salvata solo dal doppiaggio, mentre strepitoso è Toby Jones, ben assecondato dalla giovanissima Bebe Cave): è il prezzo da pagare nel momento in cui si cerca di costruire un cast di all star. Alla fine si rimana attaccati allo schermo con intensa e vissuta partecipazione, come se si ascoltasse davvero una favola dalla nonna.
“Il racconto dei racconti”, come abbiamo spiegato, è forse anche uno spot per il nostro Bel Paese, ma certamente colto e non oleografico. E se del calcolo ci fu, fu ben fatto: è ora finalmente di mostrare che la cultura italiana non è alternativa ed arcaica rispetto alla cultura mondiale, ma, nella sua antichità, è modernissima ed è radice necessaria ed insostituibile di ogni altro tentativo di ricerca della Bellezza.
Sì, bravo Garrone!
Voto: 8-