2 Mar 2013
IL PONTEFICE DIMISSIONARIO DISPERSO NELLA VIGNA DEL SIGNORE
(riverflash) – 1 Marzo 2013: La sede di Pietro è rimasta vacante in seguito alla decisione storica delle prime dimissioni di un Pontefice “moderno” dall’Uffizio del proprio Ministero. Evento storico, appunto, che cade in un periodopiuttosto complicato (per usare un eufemismo) di fronte ad una Chiesa lacerata da scandali e lotte di potere, di fronte ad una politica e ad un’economia in gravissima crisi di credibilità. E’ in questo momento che Benedetto XVI ha scelto di abdicare, accorgendosi di non essere più sufficientemente in forze per amministrare la Cattedra di Pietro. Un atto di responsabilità? Un gran rifiuto di dantesca memoria? Un modo sicuro per passare alla storia nonostante l’ingombrante e persistente presenza del proprio illustrissimo ed amatissimo predecessore Giovanni Paolo II? I fedeli, da ogni parte del mondo, sembrano comunque aver preso per il verso più giusto la decisione del Papa. Elogi, attestati di stima e di affetto, più di quanti non ne abbia mai ricevuti prima, il timido Benedetto XVI li sta ricevendo oggi al momento dei saluti. Malignamente si potrebbe dire che il mondo cattolico non vedesse l’ora di voltare pagina e che abbia accolto con sollievo la decisione di Ratzinger di farsi da parte: “ponti d’oro al nemico che fugge” dice un vecchio adagio che potrebbe essere affibbiato anche alle dimissioni papaline di queste ore, ma forse la realtà potrebbe essere un’altra, meno maliziosa. Solo pochi anni fa il gregge della Chiesa Universale, infatti, è stato entusiasta di plaudire l’incrollabile volontà di Karol Wojtyła di “non scendere dalla Croce” nemmeno in condizione di palese e gravissima infermità fisica, lodandone con commosso trasporto l’esempio di inflessibile devozione alla propria missione nonostante le proprie oggettive sofferenze terrene. Oggi lo stesso gregge plaude con rinnovato entusiasmo alla rinunzia del teologo tedesco, apparentemente stanco, ma di certo non infermo, lodandone con commosso trasporto l’esempio di cristallina umiltà e di temperanza nel riconoscere i propri limiti terreni. C’è da ammettere come questa sia la dimostrazione più palese del sacro Dogma dell’Infallibilità del Papa: qualunque cosa il Pontefice faccia, a patto di saper emozionare i propri fedeli, è gradita ed esaltata con fanciullesca venerazione. Come si accennava prima, dunque, lo schivo e timido Ratzinger, schiacciato e sfibrato dall’intramontabile confronto (volontario o meno) con Giovanni Paolo II, ha probabilmente scelto di emozionare finalmente il Mondo con un atto di assoluta discontinuità. La memoria di Wojtyła avrebbe per sempre surclassato il “Papa di transizione”: viaggi, discorsi, udienze, moniti, encicliche e terribili sofferenze, il Santo Polacco (per bontà divina e per capacità personali) non si era fatto mancare niente e sarebbe stato impossibile per il razionale teologo teutonico primeggiare sul terreno del “già visto, già fatto” (e magari fatto anche meglio). Con le proprie dimissioni Ratzinger ha trovato l’unico modo (mai visto e mai fatto) per suscitare emozione, ammirazione ed interesse, in un finale pirotecnico tenerissimo ed umanissimo teso all’estrema ricerca di quell’abbraccio emozionantecon i fedeli che gli è mancato per tutto il pontificato. Per essere un “Papa di transizione” è riuscito a lasciare un’impronta indelebile sul ministero petrino. Tutto quello che da questo momento in poi Ratzinger farà sarà nuovo (finalmente!): Sarà Pontefice emerito? Vestirà di bianco? Scomparirà davvero dalla vista del mondo, oppure la sua voce ogni tanto raggiungerà i fedeli?Rimarrà consigliere del nuovo Vescovo di Roma? Tutte domande capaci di accendere la curiosità di storici e cronisti, ma anche dei semplici fedeli, che avranno per la prima volta dopo secoli l’opportunità di vivere (di fatto) il regno di due Papi viventi. Finalmente un primato indiscutibile anche per il mite Benedetto XVI, vissuto sempre all’ombra del suo predecessore, ma che in finale di partita ha saputo prendersi una rivincita sulla Storia e l’abbraccio dei fedeli. Un comportamento umano e comprensibile, ma magari meno “divino” di chi sappia invece portare con responsabilità ed umiltà la propria Croce, sapendo che da Essa non si debba e non si possa prescindere. Visto inoltre il periodo storico “difficile” di cui si parlava all’inizio, il Vescovo di Roma avrebbe probabilmente potuto riflettere con maggiore profondità sull’opportunità di lasciare la sede petrina vacante proprio in questo momento. La Chiesa, forse, non avrebbe avuto bisogno di una rinuncia, ma di una presa d’atto delle lotte di potere che si stanno consumando al proprio interno e di una mano ferma per porvi un freno. Anche lo Stato Italiano, nonostante la sacrosanta divisione tra potere temporale e spirituale, avrebbe potuto giovarsi della presenza di un Pontefice in grado di fungere da autorità morale di fronte all’assenza di una qualsiasi maggioranza parlamentare fuoriuscita dalle urne. Oltretutto il semestre “bianco” del Presidente della Repubblica ha reso anche la sede del capo dello Stato sostanzialmente vacante, delineando un pericoloso vuoto di poteri che il Pontefice ha deciso deliberatamente di aggravare. Tornano così alla mente periodi storici altrettanto critici: Quando le truppe di Napoleone Bonaparte irruppero al Quirinale il 5 Luglio 1809 intimando a Pio VII di rinunziare al potere temporale cedendo alla Francia i territori dello Stato Pontificio, il Papa si oppose in un modo tanto semplice da risultare storicamente immortale: “Non possiamo. Non dobbiamo. Non vogliamo.” Parole d’acciaio di un Papa Re, conscio del proprio ruolo nella Storia, conscio dell’importanza del proprio Ministero al di là dei limiti della propria persona fisica, deciso a sopportare onori ed oneri della Cattedra di Pietro a qualsiasi costo. Nello stesso modo torna alla memoria la coraggiosa presa di posizione di Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale. Nel momento più difficile per l’Italia, dopo l’arresto di Mussolini, l’armistizio, la fuga del Re e di Badoglio, la città di Roma era rimasta in balia dei Nazisti e dei bombardamenti alleati. Quando venne proposto al Papa di abbandonare l’Urbe perchè la sua persona avrebbe potuto correre pericoli durante quel tragico vuoto di potere, il Pontefice rispose che Egli era il Vescovo di Roma e che non avrebbe mai abbandonato il suo gregge, per di più nel momento del bisogno. Pio XII rimase così l’unica autorità riconosciuta nella capitale e lavorò per scongiurare più sanguinosi ed estesi massacri. Non più un Papa Re, ma un Vescovo ed un buon pastore, che con la sua sola figura, presenza e ferma responsabilità contribuì a proteggere la Città eterna dalla furia della guerra. Per questi motivi, a nostro parere, non si può guardare oggi alla rinunzia di Benedetto XVI con l’affettuosa indulgenza dovuta ad un uomo in cerca del conforto della Storia e dell’amore dei propri fedeli, ma con il giudizio di chi non lo ritenga all’altezza del Magistero che era stato chiamato ad occupare. Non un Papa Re e nemmeno un Buon Pastore, ma un troppo semplice ed umile lavoratore perso nella vigna del Signore.
di Gianluca Stisi (AG.RF 02.03.2013)