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IL METODO, con la regia di Lorenzo Lavia, alla Sala Umberto

 

ilmetodo-7831-©gabrielegelsidi Sabrina Sciabica (AG. RF. 02.10.2015)

(riverflash) – Quanto conta apparire nella società attuale? E quanto bisogna essere ambiziosi, cinici e spavaldi per avere successo? Pensandoci bene, la determinazione e la smodata sicurezza di sé sono realmente dei valori?

Sono molti gli interrogativi che il pubblico si porrà dopo aver visto questo spettacolo, sicuramente  stimolante, in scena fino al 18 ottobre alla Sala Umberto di Roma.

Quattro persone in abito e tailleur (c’è una donna), aspettano in una sala d’attesa un colloquio finale volto alla selezione di un direttore commerciale. Tra loro forse qualcuno mente e invece che  candidato potrebbe essere uno psicologo; forse due persone mentono perché si conoscono già da prima del colloquio; forse tre persone mentono perché non vogliono rivelare il nome della società per cui lavorano…e così via in un continuo alternarsi di dialoghi ingarbugliati e colpi di scena che incuriosiscono sempre di più lo spettatore.

Il testo dell’autore spagnolo Jordi Galceran è una sorta di thriller psicologico in cui non si capisce più quale sia la verità e quale la finzione poiché ogni attore sfodera, di volta in volta, una, nessuna, centomila delle maschere che nasconde dentro di sé.

La regia di Lorenzo Lavia ricrea un teatro dell’assurdo con punte di ilarità, soprattutto nella parte iniziale in cui un goffo ed insicuro Antonello Fassari percorre la scena in modo fantozziano, in mezzo ad allegre poltroncine gialle e musichina da intrattenimento. Ma, attenzione! Anche questa è finzione, perché non seguirà nulla di divertente e, al contrario, l’atmosfera diventerà sempre più tesa e ansiogena. L’ambiente si rivela claustrofobico; molto d’effetto il modo di comunicare di un ipotetico grande capo (alias Grande Fratello) tramite un bussolotto che scende da un tubo.

Un atto unico con incalzanti conversazioni in cui il pubblico segue stupito e non si annoia mai grazie agli strepitosi attori: Giorgio Pasotti – ambizioso e cattivo anche nel linguaggio brusco e colorito; la  versione femminile è la donna in carriera – Fiorella Rubino forse solo un po’ troppo rigida; Gigio Alberti è l’espediente per tirar fuori argomenti scottanti come la sessualità e il dubbio su quanto la sfera privata influisca sul rendimento lavorativo e sull’opinione che gli altri si fanno di noi anche se… in un mondo ideale “le persone non vanno etichettate”. Spicca un bravissimo Antonello Fassari  – sia per la perfetta dizione italiana (abituati a vederlo cristallizzato in un personaggio romano di una serie TV) sia, soprattutto, per i continui cambi di personalità che ci sorprendono.

Uno spettacolo che fa riflettere su infinite tematiche, dal controllo/potere di entità invisibili ma reali, al rapporto tra esseri umani/capi/colleghi…numerosi interrogativi sospesi: chi siamo noi per ergerci a giudici dei nostri simili? E chi si cela veramente, dietro le maschere che indossiamo ogni giorno?

Una pièce altamente consiglia, avvincente e interessante, pur non essendo mai noiosa o pedante.

 

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