30 Mag 2018
I poteri del Presidente e la sovranità del Popolo Italiano sul mercato globale
AG.RF 30.05.2018
(riverflash) – Mattarella ha esercitato i suoi poteri nel respingere il ministro Paolo Savona mandando all’aria il governo Conte che stava per nascere? L’Italia è ancora uno stato sovrano e indipendente, oppure a causa dell’enorme debito pubblico ha perso parte della sovranità? Micromega ha concesso spazio sul tema a stimati costituzionalisti, a editorialisti economici e persino un Premio Nobel per l’Economia.
di Paolo Flores d’Arcais
L’articolo 92 della Costituzione garantisce al Presidente della Repubblica la possibilità di rifiutare la nomina di un ministro proposto dal Presidente del Consiglio incaricato. Ma il margine di discrezionalità di cui può avvalersi il Presidente della Repubblica è stabilito con precisione dagli articoli 54 e 95.
Quest’ultimo stabilisce che chiunque sia nominato ad una carica pubblica deve adempiere il suo mandato con disciplina ed onore. Il Presidente della Repubblica può perciò obiettare alla nomina di un ministro che gli sia stata proposta dal Presidente incaricato se rileva nei comportamenti passati del candidato qualcosa che confligge con l’onorabilità. Nessun rilievo del genere è stato avanzato dal Presidente della Repubblica nei confronti del professor Savona.
Quanto alla disciplina il titolare della unità dell’indirizzo politico del Governo è solo il Presidente del Consiglio come inderogabilmente stabilito dall’articolo 54. Esula perciò dai poteri del Presidente della Repubblica sindacare sulle opinioni politiche dei candidati ai singoli ministeri. Nel caso del professor Savona il presidente Mattarella ha invece fatto esplicito riferimento alle opinioni di Savona riguardanti la possibilità di fuoriuscita dall’euro.
Senza entrare nel merito di dettagli non secondari per cui la fuoriuscita dall’euro viene ventilata dal professor Savona quale piano B per le trattative da svolgere con le istituzioni europee il cui obiettivo primario resta quello di modificare, restando nell’euro, le regole valide per tutti i paesi membri, sembra evidente che una eventuale scelta di uscire dall’euro attenga alle scelte politiche di governo e non sia in conflitto con la Costituzione, che ha bensì recepito l’obbligo di pareggio di bilancio ma solo nell’ambito dell’adesione all’euro, adesione che non può configurarsi fur ewig, poiché la sovranità di cui all’articolo 1 ne risulterebbe minata.
Ogni ragionamento e discussione sul conflitto istituzionale che si è aperto deve perciò per onestà intellettuale assumere questi dati.
PAUL KRUGMAN: “E’ veramente orribile: non c’è bisogno di essere populisti per essere inorriditi dal fatto che i partiti che avevano vinto un chiaro mandato elettorale sono stati esclusi perché volevano un ministro dell’economia euroscettico”. “La fiducia nella moneta unica batte la democrazia? Davvero? Le istituzioni europee soffrivano già di mancanza di legittimità a causa di carenze democratiche. Questo non farà che peggiorare le cose”.
(premio Nobel per l’Economia, Twitter, 28 maggio 2018)
Riconoscimento formale del passaggio della sovranità
dal Popolo Italiano al mercato globale
di Paolo Maddalena, giurista e giudice emerito della Corte Costituzionale, da attuarelacostituzione.it
La mancata approvazione della proposta di governo dei vincitori delle elezioni politiche M5Stelle e Lega è il riconoscimento formale della fine della democrazia e del passaggio della sovranità del popolo Italiano alla finanza e alle multinazionali. Il pensiero neoliberista può festeggiare il suo trionfo liberticida. La spiegazione data dal Presidente della Repubblica: fare il bene dei risparmiatori italiani, impedendo l’uscita dall’euro, non convince e non tiene conto che, restando nell’euro (che è una lira sopravvalutata e un marco svalutato), Il debito pubblico, che ci è stato imposto dal mercato globale (al quale ci siamo dovuti rivolgere dopo che Andreatta, con una lettera del 12 febbraio 1981 sollevò la Banca d’Italia dall’obbligo di acquistare i buoni del tesoro rimasti invenduti, anticipando così gli effetti dannosi della moneta unica), non nasce dai nostri sprechi (come asserisce un poco informato giornalista tedesco, il quale non sa che l’Italia dedica allo Stato sociale il 41 per cento del Pil, mentre la media europea è del 45 per cento, e non ricorda neppure che la Germania ha violato per cinque anni il limite di Maastricht, non ha mai denunciato il suo surplus commerciale e fruisce ancora del contributo europeo per la riunificazione), ma ci è imposto dalla speculazione finanziaria (incostituzionale e illegale anche a termine dei Trattati internazionali), la quale non si ispira più alla regola della domanda e dell’offerta, ma a quella della pura convenienza individuale, costringendoci a “privatizzare” e “svendere” tutte le nostre fonti di produzione della ricchezza (beni produttivi, demani, e servizi pubblici essenziali), in modo da privarci dell’intero territorio, e, cioè dell’esistenza stessa della nostra Comunità politica.
Non si deve sottacere, poi, che il nostro “debito pubblico”, essendo la conseguenza del mutamento del sistema economico produttivo di stampo keynesiano (che è sancito dalla nostra Costituzione) in un sistema economico predatorio di stampo neoliberista, realizzato in circa quaranta anni, con attendismo e propaganda menzognera, nonché con la sottomissione dei nostri governi, si è concretato in una “prestazione impossibile” ai sensi dell’art. 1218 del nostro codice civile, poiché dovuta a un fatto (la trasformazione del sistema economico) non imputabile al debitore e cioè all’ignaro Popolo Italiano. Il quale, d’altro canto, per un verso è costretto al pareggio di bilancio e, per altro verso è nell’impossibilità di ottenere uno “sviluppo economico”, che è l’unica via possibile per ridurre il debito. Si tratta, insomma, non solo di una “impossibilità” giuridica, ma anche di una “impossibilità” di fatto. Peraltro, è bastato un cenno di cambiamento di questo sistema per scatenare la violenta campagna denigratoria e mistificatoria del neoliberismo imperante, il quale mira a confondere le idee e costringerci a fare la fine della Grecia.
Ma oggi, 28 maggio 2018, deve scattare la nostra controffensiva, pacifica e costituzionalmente legale, rispondendo agli insulti della stampa tedesca e francese con una forte iniziativa interna, e cioè con la nazionalizzazione delle fonti di produzione della ricchezza, con il divieto di delocalizzazione, con il recupero dei beni pubblici illegalmente venduti. Insomma, occorre far prevalere sui Trattati la nostra Costituzione (esattamente come hanno fatto e fanno Germania e Francia), tenendo presente che la nostra Corte costituzionale ha sempre sancito che non possono avere ingresso nel nostro ordinamento le norme europee che violino diritti fondamentali, come il diritto al lavoro, alla salute, all’ambiente, ecc., (cosiddetta teoria dei “contro limiti”). E tutto questo senza dimenticare che i cosiddetti “poteri forti” in realtà sono poteri debolissimi, poiché la loro ricchezza è formata soprattutto da derivati e altra moneta fittizia di questo genere. Non ci nascondiamo che la battaglia sarà durissima, ma sono dalla nostra parte la dignità di un Popolo e una Costituzione unica al mondo.
VALERIO ONIDA: “il Presidente della Repubblica può evidentemente esercitare una sua influenza, un magistrato di persuasione e di influenza, può dare suggerimenti, può dare consigli, può dare avvertimenti, può esprimere preoccupazioni, ma non ha un potere di decisione definitiva sull’indirizzo politico e quindi anche sulla scelta delle persone che devono andare a realizzare l’indirizzo politico di maggioranza”.
(ex presidente della Corte Costituzionale, Radio Radicale, 27 maggio 2018)
MASSIMO VILLONE: “sul singolo ministro i precedenti migliori e più condivisibili di diniego sono sui candidati di cui si potesse mettere in discussione la capacità di ricoprire la carica con “disciplina e onore”, come la Costituzione richiede. Di sicuro, non si mostra appropriato un diniego non per le qualità della persona, ma per opinioni espresse in un passato più o meno recente […] il Presidente della Repubblica “può certamente esprimersi sull’indirizzo politico se lo ritiene nell’interesse del paese, ma come moral suasion e non nell’esercizio di poteri formali che incidono sull’esistenza dell’esecutivo”.
(costituzionalista, il manifesto, 28 maggio 2018)
Chi tocca l’euro muore?
di Guido Salerno Aletta, Milano Finanza, 28 maggio 2018
La crisi nella crisi, apertasi la sera di domenica 27 al Quirinale, avrà conseguenze politiche ed istituzionali assai complesse, rischiando di tracimare sul versante istituzionale. Mai prima d’ora, infatti, nella storia della Repubblica era accaduto che un Presidente del Consiglio incaricato della formazione del nuovo governo rimettesse il mandato ricevuto per la mancata accettazione da parte del Presidente della Repubblica della proposta di nominare un Ministro.
I precedenti cui si attinge, quelli delle mancate nomine a Ministri della Giustizia dell’avv. Cesare Previti da parte del Presidente Scalfaro e del procuratore Nicola Gratteri da parte del Presidente Napolitano, erano state ricostruite dalla stampa per ragioni oggettive: il primo era avvocato difensore, in processi in corso, del Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi; il secondo ricopriva un incarico di Magistrato inquirente: nell’un caso e nell’altro, c’erano cause di incompatibilità funzionale.
È capitato assai spesso, invece, che un Presidente incaricato della formazione del nuovo governo non sia riuscito nell’intento per ragioni riferibili alla impossibilità di trovare un accordo politico sul programma, ovvero di comporre una compagine di ministri che gli consentisse di avere la fiducia da parte di entrambe le Camere, come prevede la Costituzione. La accettazione dell’incarico avviene apponendo ritualmente la riserva, al fine di verificare se in concreto si possa realizzare l’auspicio di formare il nuovo governo.
E, per la verità, nel caso dell’incarico conferito a Giuseppe Conte, questo duplice passaggio politico era avvenuto con successo, come ha riconosciuto lo stesso Presidente della Repubblica di fronte alla stampa, convenuta al Quirinale per apprendere in diretta l’esito dell’incontro.