AG.RF.(redazione).13.02.2020
Epatite C – L’Italia fa un passo indietro, servono nuove strategie per eliminare il virus entro il 2030. Il Progetto CCuriamo come spinta a nuove strategie di identificazione del “sommerso”
“riverflash” – Ieri, presso la Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani – Senato della Repubblica, si è tenuto il convegno finale del progetto “CCuriamo”, moderato dal giornalista Daniel Della Seta. Oltre a membri dell’Istituto Superiore di Sanità, delle Società Scientifiche e a rappresentanti dell’associazione pazienti di riferimento, hanno partecipato anche esponenti del Governo e dei membri del Parlamento, al fine di sottolineare l’importanza anche politica dell’eliminazione dell’infezione da HCV in Italia. Il focus verte sulle più opportune modalità di coordinamento tra ricerca, clinica e politica per rendere la strategia di eliminazione del virus da HCV efficace e sostenibile, con lo scopo di raggiungere l’obiettivo del WHO
Tra le iniziative volte a favorire il superamento di questo stallo della patologia,, emerge “CCuriamo”, un progetto ideato da ISHEO, Società di Ricerca, Consulenza e Formazione impegnata nell’analisi di impatto economico e sociale dell’innovazione in Sanità, e realizzato con il contributo incondizionato di Gilead Sciences. L’obiettivo è stato realizzare una fotografia aggiornata della strategia di eliminazione dell’HCV in Italia, tra successi e passi ancora da compiere, chiamando in causa anche il ruolo imprescindibile delle Regioni. Nel 2019 sono state condotte 5 tavole rotonde che hanno coinvolto circa 30 esperti da tutta Italia, che riunendosi a Roma hanno condiviso dati, best practice con impatto sul livello nazionale come pure su singole Regioni, e con impatti anche sulle popolazioni chiave per l’eliminazione dell’Epatite C, ossia la popolazione carceraria, i consumatori di sostanze stupefacenti e i coinfetti HIV/HCV positivi. La prospettiva sociale della strategia di eliminazione ha condotto inoltre lo studio e l’approfondimento con gli specialisti provenienti da tutta Italia.
L’obiettivo è concentrare l’attenzione sull’epatite C osservando questa malattia nella sua rilevanza sociale, unica prospettiva adeguata se si vuole veramente puntare all’eliminazione del virus. Infatti, facendo riferimento a un “noi”, la prima C vuole indicare che l’eliminazione è un beneficio per tutta la popolazione, un obiettivo di salute pubblica appunto, e dunque ancora di più da perseguire rapidamente da parte del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Nel 2019, il progetto CCuriamo ha promosso una serie di tavole rotonde tematiche inerenti al grande tema delle strategie di eliminazione dell’Epatite C in Italia, coinvolgendo numerosi esponenti del mondo della ricerca, della clinica e rappresentanti delle associazioni di pazienti. Ognuno di questi ha portato l’esperienza della pratica clinica, della gestione dei dati inerenti database ad hoc, esperienze regionali di grande rilievo nel trattamento di popolazioni speciali, ad esempio dei carcerati, dei tossicodipendenti, dei pazienti con HIV. “Alcune regioni stanno lavorando alacremente per attuare azioni concrete per eliminare il virus, ma non tutte in maniera armonica – afferma Davide Integlia, Amministratore Delegato di ISHEO. – Per raggiungere tale scopo, occorre un maggior coordinamento tra le regioni secondo il quadro tracciato dal Piano Nazionale di Prevenzione”. .
LE NUOVE STRATEGIE PER LA RICERCA DEL SOMMERSO – Ciò che emerge è l’esistenza di un gap non culturale, ma organizzativo: mancano dei programmi di screening e di linkage-to-care, ossia la diagnosi e l’avvio al trattamento del paziente presso una struttura dedicata.
“Per far emergere il sommerso sono necessarie nuove strategie – dichiara il Prof. Massimo Andreoni, Direttore Scientifico SIMIT. – Queste nuove strategie devono rendere più semplice l’accesso agli screening e ai trattamenti negli ospedali, permettere la somministrazione della terapia con modalità semplificate, ma soprattutto andare sul territorio per raggiungere quei pazienti più fragili che hanno difficoltà a rivolgersi alle strutture ospedaliere. Finora sono state adottate alcune iniziative alternative, come le unità mobili che vanno in giro per le città arruolando soggetti per l’esecuzione del test. Per esempio, negli ultimi due anni, in occasione della Giornata Mondiale dei Poveri, è stato organizzato a Roma a Piazza S. Pietro un ospedale da campo facilmente accessibile alle persone più fragili ed in particolare a quelle senza fissa dimora. Questo progetto si è rivelato molto efficace: ha permesso di studiare circa 500 soggetti che difficilmente sarebbero giunti presso strutture ospedaliere ed in questa popolazione si è trovata una prevalenza dell’infezione di circa il doppio rispetto alla popolazione generale”.
Questo ambulatorio mobile è partito lo scorso 21 novembre da Piazza San Pietro dopo la benedizione di Mons. Rino Fisichella; ha già fatto tappa a Firenze in occasione del Congresso della SIMG – Società Italiana di Medicina Generale e a Sanremo nella settimana del 70° Festival. “Lo scopo del Lab è quello di sensibilizzare la popolazione sui corretti atteggiamenti di prevenzione per le malattie infettive e di informare su quelli che sono i rischi concreti, specie alla luce dell’allarmismo suscitato dal coronavirus utilizzando le risorse di quel territorio nel territorio stesso” sottolinea Alessandro Rossi, membro del direttivo della SIMG. “Servono screening gratuiti per le popolazioni a rischio e un rapido avviamento al trattamento” sottolinea il Prof. Petta. “Presso carceri e SerD è necessario realizzare test in loco, con modalità semplici come il test salivare. Fino ad ora ci sono stati progetti pilota che non hanno coinvolto tutte le strutture di questo tipo: i soggetti circolano tra le diverse carceri e i vari SerD, rischiando di vanificare l’azione di bonifica effettuata in una parte dei centri”.
“Per quanto riguarda la popolazione over 60 – aggiunge Petta – bisogna puntare sul coinvolgimento dei Medici di Medicina Generale e sulle farmacie: i referenti di queste categorie devono essere istruiti a dovere per individuare i possibili soggetti a rischio. Le farmacie sono posti dove i pazienti anziani vanno spesso e si instaura tra loro un rapporto stretto: devono diventare punto di informazione e screening”.
IL CONTRIBUTO DELL’ISS – Il numero esatto delle persone con infezione da HCV in Italia non è noto; tuttavia, con una stima di circa l’1% della popolazione, siamo considerati uno dei paesi con la più alta percentuale di infettati in Europa. Se il numero dei pazienti da trattare resta alto, sulla media dei trattamenti di questi ultimi 4 anni, il bacino dei malati con un’infezione diagnosticata e quindi trattata, terminerebbe entro il 2023. A rimanere fuori sarebbe una grande percentuale di pazienti infetti che non sanno di essere contagiati e che oggi si stima siano tra i 200mila e i 300mila.
“È indispensabile pertanto identificare strategie opportune per far venire alla luce il sommerso dell’infezione da HCV – sottolinea la Dr.ssa Loreta Kondili, Medico Ricercatore presso il Centro Nazionale per la Salute Globale, Istituto Superiore di Sanità. – Gli individui che riportano fattori di rischio per l’acquisizione dell’infezione, quali lo scambio di siringhe, soprattutto coloro che fanno o hanno fatto uso di stupefacenti oppure la popolazione carceraria o ancora i migranti da paesi ad alta prevalenza di HCV, sono individui sui quali deve essere applicata la strategia “testare e trattare” indipendentemente dalla loro età. Per quanto riguarda l’eliminazione dell’infezione da HCV in tutta la popolazione infetta, l’Istituto Superiore di Sanità ha valutato come costo-efficace un approccio di screening per coorti di età, che prevede anzitutto l’applicazione di un test di screening in primis nella popolazione nata tra il 1968 e il 1987 (coorti con più alta prevalenza dell’infezione non nota e più a rischio di trasmissione dell’infezione), per proseguire con lo screening alle coorti dei nati tra il 1948 e il 1967 (coloro che inizialmente avevano le prevalenze più alte dell’infezione, ma che ad oggi sono anche quelli con la malattia diagnosticata e ormai già guariti). L’applicazione di questa strategia permetterà l’aumento delle diagnosi delle infezioni non note ad un costo nettamente inferiore per il SSN rispetto ad uno screening universale e consentirà di raggiungere i target di eliminazione del virus”.
OBIETTIVO ELIMINAZIONE ENTRO IL 2030, PASSO INDIETRO DELL’ITALIA – L’Italia finora si è distinta per risultati importanti nell’eliminazione dell’epatite C. Sono stati trattati più di 200mila soggetti, un ottimo punto di partenza che permette al nostro Paese di rimanere in corsa per il raggiungimento dell’obiettivo fissato dall’OMS per il 2030 di eliminazione dell’infezione da HCV. Tuttavia, una recente stima dell’Osservatorio Polaris del Centre for Disease Analysis Foundation (CDAF), Lafayette, CO, USA, ha declassato l’Italia da “on track” al livello “working towards”, ossia un gradino indietro. “Ciò significa che è stato fatto molto, ma resta anche una grande mole di lavoro da svolgere – sottolinea il Prof. Salvatore Petta, Segretario AISF – Associazione Italiana per lo Studio del Fegato. – Come emerge anche dai dati AIFA, vi è stato un importante decremento dei pazienti avviati al trattamento. Ciò è avvenuto poiché abbiamo esaurito le sacche di pazienti disponibili nei nostri centri, quindi servono delle strategie produttive di ricerca del “sommerso”, cioè rintracciare le persone infette che non sanno di avere le infezioni, sia per curare loro stessi che per impedire nuovi contagi”.
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