di Valter Chiappa
(AG. R.F. 03/09/2015)
(riverflash) Ancora “Molto rumore”, ma forse non per nulla. Al termine delle repliche del fortunatissimo allestimento diretto da Loredana Scaramella dell’opera shakespeariana, che anche quest’anno ha registrato un altissimo numero di presenze nonostante la programmazione agostana, ci urge tornare a parlare dello stridente, paradossale contrasto fra i riscontri che un’attività, come il Globe Theatre, ottiene grazie a capacità gestionale ed altissima professionalità e, dall’altro lato, la drastica ed ottusa chiusura da parte delle istituzioni, che non ne garantiscono la sopravvivenza con sostegno e fondi. Proprio uno spettacolo come “Molto rumore per nulla”, con il suo clamoroso successo, si pone quindi come risposta forte, urlata, a chi invece ritiene di non dover investire sulla cultura.
Ci è piaciuto poi parlarne incontrando e conoscendo il protagonista di questo spettacolo, Mauro Santopietro, in quanto appartenente a quella massa viva e pulsante di giovani artisti talentuosi e preparatissimi, vere eccellenze del nostro Paese, che nel teatro cercano casa, trovandovi spesso solo un alloggio precario.
Mauro Santopietro li rappresenta al meglio. Classe 1982, diplomato nel 2005 presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica, è non solo attore di teatro dalla solidissima formazione, ma anche attore televisivo in note produzioni (“Un posto al sole”, “Romanzo criminale”, “Distretto di Polizia 8”), drammaturgo, autore di testi teatrali (“Adamo ed Eva”, “RaeP”, “Padre, Figlio e Sottospirito”) ed adattamenti, oltre che ricercatore e assistente universitario alla Cattedra di Teatro alla Sapienza. Grazie alla collaborazione con Loredana Scaramella, in questi anni ha partecipato, come attore ed adattatore, a molti spettacoli del Globe Theatre (“Pene d’amor perdute”, “Come vi piace”, “Il mercante di Venezia”). In “Molto rumore per nulla” è Benedetto, lo smargiasso protagonista destinato a soccombere alle insidie dell’amore.
Ci risponde con grande disponibilità e generosità, scusandosi addirittura di essersi dilungato (noi ovviamente gliene siamo grati).
D – “Molto rumore per nulla”, un successo quasi annunciato. Quali le ragioni di un’accoglienza così calorosa da parte di un pubblico così eterogeneo?
M.S. – “Sono vari i motivi del successo di “Molto rumore”. Innanzitutto, ovviamente, il testo. A mio modo di pensare è la commedia migliore che Shakespeare abbia scritto. Da parte nostra c’è stata la volontà di mettersi al servizio della storia, tentando cioè di non andarsene per un idea registica o interpretativa, ma restituendo dignità al teatro popolare nell’accezione migliore del termine. Così si faceva ai tempi di Shakespeare, questo ci è sembrato essere fin dall’inizio il modo migliore per usare quello spazio, questo riteniamo è ciò di cui il pubblico ha urgenza: sentirsi raccontare una storia con una trama in modo semplice ma non banale. Infine la musica. Ai tempi di Shakespeare, terminati gli spettacoli il pubblico ballava. Ecco, il tentativo è stato quello di ricreare quella atmosfera di festa.”
D – Un successo così clamoroso si scontra con la difficile realtà della mancanza di sostegno economico da parte delle istituzioni, come denunciato da Gigi Proietti nella presentazione alla stampa della stagione. Come si vive dall’interno questa situazione di precarietà?
M.S. – “Non ho il ruolo, né l’esperienza per affrontare l’argomento. È stata fatta da poco una riforma che, a mio modo di vedere, ha complicato e politicizzato ancor di più lo stato delle cose, rendendo ancora più forte una spaccatura tra chi fa teatro, o tenta di farlo, e chi sovvenziona teatri e compagnie con a volte una miopia enorme. Una soluzione a mio avviso sarebbe quella di privatizzare i teatri, o di creare una gestione compartecipata, dando così una seria opportunità a compagnie e teatranti di rendere il teatro un luogo vivo e contemporaneo, e attivando una economia vera con sane ripercussioni sul territorio in cui agisce. Finché non si capirà che la cultura è una possibile forte economia le cose non cambieranno. Ci tengo però a dire che finché ci si ritiene solo attori, noi abbiamo la sola responsabilità di fare un buono spettacolo.”
D – Il “modello Globe”, che ha realizzato una diffusione ad ampie fasce di pubblico del repertorio classico, può essere preso come riferimento per un rinnovamento dell’offerta teatrale? Oppure di cosa c’è bisogno?
M.S. – “Se si vuole parlare di rinnovamento la soluzione, a mio avviso, deve essere in linea al contesto in cui si opera e sviluppare una progettualità che accompagni il pubblico a capire, riconoscere, incuriosirsi, fare un esperienza viva. Il Globe in questi anni ha lavorato molto bene, lo dicono i numeri. Se gli venisse data la possibilità di una gestione tranquilla. potrebbe non solo far conoscere Shakespeare, ma anche farlo ri-conoscere tra altri autori elisabettiani; potrebbero nascere laboratori e tenersi lezioni; si potrebbe incuriosire il pubblico con riscritture e contaminazioni, tra quello che sarebbe un materiale a quel punto conosciuto e altre forme di spettacolo. Esiste una parola, ecfrasi, per indicare una mescolanza di un sapere con un altro, da cui nasca qualcosa di nuovo. Ovviamente il tutto sarebbe da monitorare e da guidare. Ma il presupposto fondamentale è dare una garanzia di gestione di almeno 10 anni. Con le attuali gestioni al massimo triennali, si è invece costretti a navigare la vista.”
D – Com’è oggi per un giovane attore il rapporto con cinema e televisione? Vissuto come concorrenza o come portatore di diverse opportunità? E come è cambiata la preparazione dell’attore in relazione all’esigenza di dover utilizzare canali espressivi così diversi?
M.S. – “La televisione è diversa dal cinema ed il teatro molto diverso dalla televisione. Si dovrebbe tornare a fare i film o ancor di più la tv preparandoli dal punto di vista teatrale, per quanto concerne la recitazione, come peraltro si faceva un tempo. Allora sarebbe più semplice fare l’attore in contesti differenti e tutti i prodotti ne gioverebbero. Il teatro è infatti una palestra incredibile: per la messa a fuoco di ciò che si deve raccontare, per la necessità di essere diversi dalla nostra realtà di persone, pur prendendo spunto da ciò che si ha, per l’esigenza di cucinare piatti diversi, ma non per questo poco appetibili o troppo raffinati. Per il resto, personalmente, ritengo che non ci siano categorie: solo bravi attori o cattivi attori, registi capaci di costruire un dialogo con gli interpreti o incapaci di farlo. E per un attore bravo fare televisione e cinema, stare sotto una lente d’ingrandimento di un obbiettivo, è senz’altro una opportunità. Le tecniche, le modalità di interpretazione sono molte e differenti Ma alla base di tutto deve esserci la fiducia per l’attore e la chiarezza di cosa si deve raccontare. Poi c’è bisogno di molto allenamento, io non lo faccio abbastanza.”
D – Puoi parlarmi dei tuoi progetti futuri?
M.S. – “Mi piacerebbe dare un filo di continuità al mio lavoro. A volte mi sembra di aggiungere semplicemente righe al curriculum, senza un progetto di costruzione. Ho invece bisogno di vivere pensando di realizzare qualcosa di concreto, di vivo, qualcosa da lasciare a qualcun altro, che un giorno possa stringere tra le mani e di cui io stesso possa stupirmi e meravigliarmi. Mi si dirà: “tu regali emozioni, stai costruendo, rendi vivo qualcosa, questa è di per se una cosa concreta!”. Certo, questa è la vita dell’artista. Ma io ho bisogno di credere che tutto questo possa valere per più di uno spettacolo. E se non riesco a farlo per me, cercherò di aiutare qualcun altro a realizzarlo.”
Ai dubbi di Mauro Santopietro sta a noi dare la risposta. A noi rendere tangibile e solida la costruzione della cultura. A noi richiederla come esigenza primaria, come fornitura indispensabile. E quando avverrà dovremo necessariamente bussare alle porte dei teatri, come di ogni altro luogo d’arte. Lì cercheremo la calce per tirare su le mura di una società libera ed evoluta.
Vuoi essere il primo a lasciare un commento per questo articolo? Utilizza il modulo sotto..