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DECIFRANDO IL MESSAGGIO AGOSTANO DI DRAGHI A RENZI

draghi-6401di Fabio Scacciavillani

(riverflash) – Condividiamo il messaggio postato il 17 agosto da Fabio Scacciavillani, Chief Economist Fondo d’investimenti dell’Oman e blogger de «Il Fatto Quotidiano», nella convinzione che possa offrire spunti per comprendere la delicata questione economica dalla UE.

A chi ha familiarità con Draghi si pone un dilemma: il Presidente della Bce spicca maggiormente per la padronanza dei temi economici oppure per la ferina capacità di azzoppare politici di mezza tacca?

Di sicuro la seconda qualità si è affinata a via XX settembre alle prese, oltre che con ministri diversamente competenti (da Amato a Tremonti), anche con personaggi dalla caratura intellettuale di un Paolo Cento, in arte Er Piotta, o di un Gianfranco Micciché, noto per le grandi aspirazioni.

L’elenco dei sorci finiti in bocca al gatto fintamente sornione (e dalla leggendaria capacità di persuasione) figura in pergamene opulentemente miniate e non si limita a politicanti. Ad esempio una new entry di pregio è il Governatore della Bundesbank, Jens Wiedemann, la cui golden share nella Bce è evaporata.

Lo stile Draghi rifugge riflettori e tweet per cui #matteostaisereno difficilmente scalerà le vette dei trending. Ciò nonostante il pollice verso in mondovisione ha una ripercussione politica esiziale per il Bomba: sdogana la discesa dalla carretta del vincitore. Ma a parte la gabbana double face, dal punto di vista economico le conseguenze si preannunciano ancora più funeste. Pertanto vale la pena di ridurrela strigliata agostana a linguaggio da taverna sita nell’agro fiorentino tra Rignano e Pontassieve.

1) Un leader che da anni – tra Leopolde, proclami di rottamazioni, programmi delle primarie e comparsate sullo scibile universale – si vanta di avere le idee chiare, ma che arrivato a Palazzo Chigi dimostra di non aver pronto uno straccio di provvedimento o un barlume di strategia, vola alto nella considerazione internazionale quanto un palloncino bucato.

2) Promesse di una riforma al mese, 900mila posti di lavoro per i giovani, spending review e calendari di riforme (fantasma), in Italia vengono dimenticate, ma nelle cancellerie europee la memoria non è un optional. Il 41% ottenuto nei ludi cartacei europei non produce di per se’ risultati tangibili. Essi rimangono ostaggio di un gruppo parlamentare nominato da Bersani.

3) La riforma del Senato e della Costituzione, che tra passaggi e referendum arriverà in porto l’anno venturo, non muove di un centesimo il Pil. Resta da vedere se snellirà i meccanismi decisionali o semplicemente gonfierà i prezzi politici o le rendite dalle bande interne del Pd e dei cespugli vendoliani, alfaniani e montiani.

4) La flessibilità sui conti pubblici ad un paese che ha mancato tutte le promesse solenni da oltre venti anni, non verrà mai concessa se non dopo verifiche sugli effetti di eventuali misure economiche affidate alla reincarnazione di San Tommaso Apostolo.

5) Un governo che implora maggiori risorse da scialare ma non riesce da decenni ad usare i fondi strutturali europei (chiedere ragione al subcomandante Barca), ha smarrito il senso della realtà.

6) Un governo che insiste sull’effetto taumaturgico delle opere pubbliche – quando da decenni non si riescono a completare arterie indispensabili come la Salerno – Reggio Calabria mentre su ogni grande (e piccolo) appalto si scoperchia un letamaio criminale – ha un incolmabile deficit di dignità.

7) Le misure di solidarietà a livello europeo sono già state prese: grazie alla Bce oggi l’Italia paga tassi a dieci anni sul debito pubblico quasi simili agli Usa (2,6% contro 2,4%), che si traducono in svariati miliardi di risparmi sulle uscite. Invece di benedire la manna il governo si lagna che i soldi non bastano.

8) L’effetto del modesto taglio all’Irpef (per un massimo di 80 euro al mese) e all’Irap, al pari del taglio del cuneo fiscale di prodiana memoria, si infrangerà sulle aspettative di nuove e corpose tasse dalla Tasi al riordino del catasto. Peraltro la mancata copertura della mancia elettorale ricorda i fasti dell’abolizione berlusconiana dell’Imu.

9) Uno stimolo di domanda di 80 euro (o di 8000) comunque serve a poco se il sistema produttivo italiano non è competitivo: i consumi andranno in larga misura a cellulari (cinesi), auto (tedesche o giapponesi) televisioni (coreane) e vestiario (rumeno o tunisino).

10) Litigare con Cottarelli per affidare la spending review ad aziendalisti da vaudeville consulenziale è una genialata tafazziana. Va affrontata l’eliminazione dei centri di spesa ridefinendo il perimetro dello stato e abbattendo i gangli del clientelismo. Su questo punto c’è un consenso vastissimo nel paese come testimonia la popolarità dell’abolizione delle province. L’abolizione delle regioni (non l’attuale fetecchia sul Titolo V) sarebbe ancora più popolare.

11) Nella spending review vanno prima fissati obiettivi quantitativi in linea con un taglio drastico delle imposte, ad esempio 100 miliardi in due anni. Poi il commissario (meglio se il ministro dell’Economia se ne assumesse la responsabilità politica in prima persona) individua una scala di priorità e infine il governo decide dove si abbatte effettivamente la scure. Usare la spending review come un bancomat per nuove spese è un trucchetto da marito della Di Girolamo.

12) Sono possibili dozzine di riforme a costo zero: accorpamento di comuni, imposizione dei costi standard nelle forniture pubbliche, ridefinizione di tutele nel mercato del lavoro (basta tradurre ad esempio le leggi tedesche), adozione della legge sugli appalti pubblici sul modello francese, agenzie di collocamento private e via elencando. Per ulteriori informazioni sfogliare uno delle tante classifiche internazionali, tipo Ease of doing business della Banca Mondiale

13) Per rilanciare la domanda è molto più efficace rottamare lo spesometro e rivedere gli studi di settore tremontiani tarati sui tempi di vacche grasse. Permettere all’Agenzia delle Entrate di tormentare e ricattare piccole aziende e negozietti affinché i gabellieri intaschino i bonus, provoca molta più disoccupazione e fallimenti di qualsiasi austerità.

14) I debiti non stimolano la crescita sostenibile, altrimenti l’Italia sarebbe la locomotiva d’Europa dagli anni 70 e vanterebbe tassi di crescita da far invidia alla Cina. Conferire uno stipendio a chi presidia una scrivania distrugge risorse.

15) Escluso Padoan e un paio d’altri, il team di governo manca di spessore. Un rimpasto con gente in grado di assicurare capacità di esecuzione rapida è cruciale proprio perché la nomea di ladri ed inetti (che prevale a torto o a ragione) non permette di circondarsi di ras di provincia o replicanti del duo Carfagna & Gelmini.

 

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

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