Coppa di Africa dal 13 gennaio
header photo

ingrandisci il testo rimpicciolisci il testo testo normale feed RSS Feed

DALLA NUOVA RUBRICA “RIVERSI” TRE POESIE DI RENATO MINORE

Stampa

AG.RF.(MP)17.03.2016

“riverflash” – La sezione “Riversi” di Riverflash, che ospita le meravigliosi poesie di autorevoli poeti italiani, si arricchisce oggi e si “vanta” di poter offrire il contributo poetico di un “illustre” personaggio: Renato Minore, giornalista, scrittore e poeta italiano, che non ha bisogno di presentazioni.

CORNICE EMOTIVA DI RENATO MINORE A CURA DI GIUSEPPE PONTIGGIA

Che Renato Minore abbia intitolato la sua raccolta di poesie, Nella notte impenetrabile,  con una citazione del più enigmatico autore della letteratura latina non è soltanto un omaggio a Petronio, di cui vengono tradotti, nell’ultima sezione, alcuni versi del Satyricon (dove nocte soporifera, con aderenza analogica, viene tradotta “nella notte impenetrabile”). E’ anche, credo, un accostamento ideale, una sintonia allusiva con quella mobilità di registri e quella levità di passo che aveva indotto Nietzsche a definire Petronio “ piedi di vento”: di un vento che “guarisce ogni cosa, costringendo ogni cosa a correre”.

L’apertura di un orizzonte circolare è già attuata nella prima sezione, “ A chi contempla il cielo in una notte stellata”: dove la poesia diventa raggio cosmico, conquista antropologica e ascolto interiore in una interazione metafisica ed esistenziale di rara intensità e lucidità.

In un contrappunto sapiente e ironico seguono le nugulae della seconda sezione. Se nugae era il termine amabilmente riduttivo con cui una tradizione illustre, da Catullo a Petrarca, dissimulava le cose più personali sotto l’appellativo di scherzose e futili, nugulae, ripreso dalla tarda latinità di Marziano Capella, rappresenta una riduzione ulteriore. E sono tra i testi più felici della raccolta, nel loro declinare le quotidianità con desinenze insieme satiriche e malinconiche.

C’è nella poesia di Minore il gusto di una réverie che muove dai poeti più amati (da Rimbaud a Pessoa a Jabès) per perdersi e ritrovarsi in paesaggi nuovi, spesso sigillati da una gnome discreta e suggellati da una epigrafe finale, “Un’anima abita e custodisce il bosco”, arricchisce questo percorso di diversioni e di sorprese.

In “Foto ritratti e altro” la lunga frequentazione, anzi la familiarità leopardiana, rende nitide certe gravures, tra aneddoto e mitologia domestica, di insolita finezza. Ma la memoria è popolata di altri incontri. Sulla pagina, ma anche nella vita, come Flaiano, rievocato in Settembrata con una narratività distesa e amara.

L’ultima sezione si intitola “Cambiando registro: qualche prova”: sono “imitazioni”, in senso leopardiano, da Filodemo di Gadara e appunto da Petronio. L’eleganza ellenistica coglie un punto delicato e straniante di contatto tra il proprio declino e il tramonto del mondo. Anche qui riscopriamo consonanze nella diversità e distanza nella continuità.

Ho voluto riprendere le articolazioni della raccolta per suggerire una idea della sua ricchezza di toni, della sua complessità di accenti, della ampiezza delle sue ricerche. In Minore la presenza dei classici, in una cornice storica antropologica e cosmica, ha il potere di intensificare un’inquietudine e un disagio esistenziali, proiettandoli su altri sfondi e altre esperienze. E’ come se il presente acquistasse ulteriore durata dalla percezione dei suoi echi retrospettivi e delle sue amplificazioni corali. Per questa via Minore conferma quella autenticità e quel respiro che lo impongono come una delle voci più sommesse e insieme più forti della nostra poesia.

 GIUSEPPE PONTIGGIA

LE CONCHIGLIE

                                           La mappa non è il territorio.

                                          Il nome non è la cosa designata.

                                                                   Gregory Bateson

 

 

Approdò sulla spiaggia

assetato di mistero.

C’era la promessa o premessa

per una equa meditazione universale

sui beni prossimi o remoti

dell’esistenza.

Ma il calco della mano lo ridusse a ciò che conosceva

[o sperava.

Era poco fumo che svapora.

Pensava alle conchiglie capricciose figlie del caos.

Da qualche parte

– il posto non sapeva

neppure dove collocarlo,

nel buiore della mente

o nell’universo delle forme

sempre possibili e difettive –

dovevano pur esserci

le stralunate particelle:

se le osservi, stanno meravigliate a osservarti

e tutto è nello specchio di quello sguardo che si specchia.

Spinse l’occhio all’orizzonte.

Attese.

E nulla in vista, mio provvido signor Comandante.

n liquido si raggrumò nel friabile tunnel

di particole del mondo.

 

LA PIUMA E LA BIGLIA

                                                      Ciò che può essere mostrato

                                                                                  non può essere detto

                                                                  Ludwig Wittgenstein

                                                                                                                                                                 

 

  1)

 

C’erano quattro biglie colorate pronte a partire,

ma lo sparo fu rinviato

da sempre. Da sempre le biglie

formavano un quadrato

immaginario e al centro

c’era l’invisibile punto

di convergenza di tutti

i loro colori.

 

La pista allungata, infinita,

era una distesa

di acqua o di sabbia,

ma senza acqua nè sabbia.

2)

Rossa la prima e potevi

aver voglia di spaccarla

per trovare i semi

come dentro la melograna.

Verde la seconda come

quando saltella la capra

sopra i prati e i prati

hanno il luccichìo

della pioggia appena velata.

Bianca era la terza

ed era neve, neve

coagulata o neve sparsa

o cielo torbido che vela

le forme perché cancella

luce e ombra.

Nera la quarta ed era

specchio quasi opaco, l’immagine

riflessa era dietro

la superficie, non dentro,

come se il vuoto fosse

pieno di quel vuoto

nero nerissimo.

 3)

Immobili le biglie attendevano

che dall’una venisse

la mossa per la prima partita.

Ma il silenzio

non faceva scandalo, era

il colore naturale,

rosso o verde bianco nero

come le biglie che non partivano.

4)

Dall’imbuto di quel vuoto

scese una piuma leggera

vero soffio di zefiro,

e scese in una linea

immaginaria avvitandosi

su se stessa per piccoli

movimenti che le venivano

dal suo essere così incorporea

in quel silenzio complice.

 5)

Sfiorò

la biglia rossa e nel vuoto

la scossa fu elastica, dolcissima,

la biglia ruotà lentissima,

si capovolse toccando

quella verde che toccò

la bianca e la bianca corse verso la nera

e il moto ondulante si trasmise

mentre la piuma scendeva

nel fondo e forse

 vi scivola ancora

sepolte nell’ imbuto

a guardarsi come

Narciso alla fonte.

SETTEMBRATA

                                                                  per Ennio Flaiano

                                      

                                       La pergola è ora un indistinto

                                     corridoio con in fondo un ascensore

                                                                  Jorge Luis Borges

 

 1)

Posso anche averti conosciuto

(non lo rammento, ma è plausibile pensare un simile ricordo)

sulla spiaggia verso la fine degli Anni Cinquanta,

in una città non necessariamente grande

(entrambi amiano il minimo in primo piano:

ma ingrandire vuol dire conoscere, non riconoscere)

dove l’inverno tempra e affina l’animo

e l’estate è la troppo breve promessa che svapora.

Avevi la mia età d’oggi, ai miei occhi vecchissimo,

gonfio di saggezza come un mulo: non sapevo che farne,

mentre scaricavi il sigaro, con il lampo d’ironia

che dagli occhi si spandeva nella morsa delle dita.

Ricordi? Tagliavano la pineta per farne orridi antri

di Biancaneve. L’Italia era la festa di campanili, ·

tutta la cuccagna sul fiume che tu ricordavi

con le luminarie di un’altra festa verso cui serbavi

un ricordo modesto che, con il tempo e la malinconia,

s’era troppo ingigantito. Quel giorno mi hai detto,

ora posso ricordarlo:

non m’incanta l’euforia di cuori e case,

non sappiamo cosa si perde ma il guadagno è fittizio,

una gragnuola di simboli presto invaderà

quello che pensiamo sia il ripostiglio più nascosto

della nostra mente e non sapremo

più distinguere l’erba buona dalla gramiglia

(in fondo il tuo parlare aveva accensioni evangeliche).

E se anche hai detto queste parole

con il piglio di tragica noncuranza che poi

ho imparato a conoscerti, chissà se davvero ho potuto

[capirle.

Avrei dovuto imparare in gran fretta

il tono saturnino, la stanchezza, l’occhio inciso

[nel dolore

da cui fosti trafitto. Avrei dovuto forgiarmi

un altro e ancora un altro destino, più vittorioso

giocando con le biglie sulla spiaggia fino a settembre

o ottembre, il mese magico nato accorpandone

[due normali,

o chiedendo l’incantesimo d’un presente eterno. Sai:

l’eventualità del tempo ciclico che rotola su se stesso,

quando nessun orco ci inghiotte e ogni cosa rimanda

alla sua origine, senza corruzione. E se ti avessi

davvero incontrato – con il tuo fardello di inclamorosi

[successi,

nella mia apprensiva adesività al mondo –

non avresti potuto essermi né padre (troppi ne ho divorato

e d’ogni tipo per non aver compreso la ruvida,

tenera disponibilità del mio) né il maggiore dei fratelli,

quello che torna quando la casa rischia di bruciare,

e il papà vola via con l’attricetta di passaggio nel borgo.


II

Guardo la tua immagine di quegli anni, non ancora

[remissiva

come le ultime, ma già incrinata nella zona del viso

in cui sembra che tu debba chiudere il taccuino e gettare

i fogli al vento, come nella tragica scena del tuo film

[canadese.

E guardi, senza guardare, il vuoto di tutta questa vita

dopo la tua morte

che per te non è stata; e guardo la tua immagine di ieri

che non sa neppure che io ci sia. Solo una infinita

[presunzione

– di quelle che separano il nulla dalla volontà qualunque

che operosa si costruisce negandolo – può farmi pensare

che nell’orizzonte per me indecifrato ci sia non

[la presenza

ma una qualche vaga allusione a un destino incrociato.

L’uno consegna all’altro l’invisibile messaggio

di cui andiamo fieri, per un atto che nessuno ha mai

[visto e nessuno

potrà mai vedere, sigillato nel luogo dove s’incontrano

la tua stanca saggezza con la mia stitica di oggi.

untitled

Renato Minore è nato in Abruzzo, a Chieti, ma da circa trenta  anni vive a Roma. Come poeta ha pubblicato .Non ne so più di prima, Le bugie dei poeti, Nella notte impenetrabile; I profitti del cuore.  Come narratore: Rimbaud,  I ritorni, Il dominio del cuore, Lo specchio degli inganni. Tra le suoi libri di saggistica: Mass-media intellettuali società, Il gioco delle ombre, Poeti al telefono, Amarcord Fellini, I moralisti del Novecento, La promessa della notte. Per i suoi libri, tradotti in più lingue, è stato finalista allo Strega e ha vinto tra l’altro il“Campiello”, l’ Estense e  il “Flaiano”. Ha insegnato presso l’Università di Roma e presso la Luiss. ”. Nel 2014 è uscito da Bompiani una nuova edizione ampliata del “Leopardi l’infanzia le città gli amori”. E’ il critico letterario de “Il Messaggero

 

 

Nessun Commento »

Puoi lasciare una risposta, oppure fare un trackback dal tuo sito.


Vuoi essere il primo a lasciare un commento per questo articolo? Utilizza il modulo sotto..

Lascia un commento


Heads up! You are attempting to upload an invalid image. If saved, this image will not display with your comment.

*