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“CON LE STAMPELLE A FESTA”: LA POESIA DI MASSIMO PEDRONI, INNO ALLA GIOIA E ALLA VITA, NONOSTANTE TUTTO….

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AG.RF.(MP).30.07.2015

“riverflash” – Massimo Pedroni, risiede a Roma città dove è nato. Laureato in Giurisprudenza, diplomato come Attore alla Scuola di Arti Sceniche di Alessandro Fersen.
Ha pubblicato Ferdinand ed, Serarcangeli presentazione di Francesco Grisi. “La sfacciataggine dei sogni” ed. Gangemi, presentazione Renato Minore. “Alla salute” ed. Memori presentazione Giorgio Albertazzi. Con questa pubblicazione ha vinto ha vinto il premio “Bertoli” presidente giuria Arnaldo Colasanti.
Nell’Antologia Poesie d’amore, pubblicato dalla Newton Compton, curata da Fancesca Pansa, sono presenti alcune sue poesie.
Collabora a Radio Vaticana e, al quotidiano online L’Indro.

Massimo Pedroni ci ha inviato una poesia, che pubblichiamo volentieri, che ci offre una visione forte e potente della realtà della vita, molto significativa, vista la sua condizione di malato di sclerosi multipla, che è riuscito con la sua forza, a fare delle stampelle (un supporto indispensabile), un gioioso amico fidato… che riesce quasi a cancellare la sua sofferenza….

Vanghe e badili a disposizione
Ricciutamente a portata di mano.
A portata di buona lena
Lena non più acerba.
Ogni giorno pronti a seppellire
Quello appena trascorso
Terra e zolle ricoprono l’indecenza del passato
Oggi sarò da Festival
Festival del necroforo
In un colpo solo seppellirò un anno intero
Un’altra lapide a disposizione dei nostri rincrescimenti.
Le mani saranno sporche di fango e di sudore
Anche questa volta abbiamo fatto il nostro dovere.
Con lungimiranza puntellati sulla terrazza di fango.
Ma qualcosa cede, si smotta sotto di noi
Prevedibilmente.
Benvenuto nuovo arrivato dal sapore scarlatto.
Chissà quanti di questi giorni riuscirò a seppellire.
Il dubbio è d’obbligo, non l’aspirazione.

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I pruriti di fine luglio svuotavano i luoghi
Strade piazze e palazzi
L’uomo di piccola statura
Sembrava ancora più sparuto
Nello slargo di passaggio.
Tracollato dalla bisaccia
Vendeva giornali
L’aria dell’ uomo era particolarmente mite
Con il piccolo desiderio di raggranellare in quell’afa
Qualche soldino.
Non aveva certo la stazza dello strillone
Pacatamente dava a richiesta dei viandanti informazioni.
Sapeva di essere osservato
Traboccava di sigaretta in sigaretta
Con la serenità di chi vive il futuro a breve
Strillone mancato hai riempito di serenità
Un attenzione svagata dal caldo e dalle
Bocciature della vita.

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Si vive a Roma, nel centro di Roma, da anni inoltrati.
Si esce di casa scendendo delle scale,
attraversando un androne di aria.
Al centro di vigenti allegorie si sguazza nel rione.
Occhi di pietra, annegano in colliri damascati a puntino.
Transita di tutto in quei vicoli
Come se già fosse tutto passato.
Non c’è neanche bisogno di avere un qualche ricordo.
Si mangia il cornetto mattutino, si legge il giornale quotidiano.
In quella disperazione alla “volemose bbene”
Che ha amputato anche la statua del Pasquino.
Missive per le spicce pendono da quei monconi.
Tutto è passato e tutto è rimasto
A Roma non è mai morto nessuno,
nessuno può morire qui. Non esiste questo errore.
“Fatece largo che passamo noi…” è tutto a cielo aperto qui
anche il sole.

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Sporadicamente incontravo il dottore
Quello che fu il mio dottore
Ebbe modo di prendersi cura di me
Aitante usciva dal portone del suo studio
Non ci si salutava, per imbarazzo, per imprevedibili reazioni
Mi diagnosticò con leggerezza saturnina
Il balocco formicolante che presidia i miei spazi, i miei aneliti
Tutta roba dai colori appassiti, dai sapori muffiti.
Uscendo da quel portone entrai nella storia,
la storia umana, quella in cui c’è chi tifa per un Dio vendicatore
chi per l’assenza di Dio, chi per un Dio che ci venga a prendere all’uscita di ogni tormento.
Per mano ci sostenga nel percorso dovuto
E ci faccia capire che il Padre non è mai morto
Non morirà mai. Coraggio.

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Si tornava in quegli anni a casa la notte
Furtivi guardinghi acquattati sulla minaccia sul pericolo.
Una spensieratezza armata di armi
Colmava tasche bisacce sussulti di cordoglio.
I grandi gli adulti orchestravano con prodigalità
Lo sventramento del nostro futuro.
Incatenata la Vespa al lampione sotto casa
Si pensava di essere liberi placati.
Ci abbiamo creduto in tanti tutti
Di qua e di la ci si credeva.
L’orrore di quelle giornate radiose
Crepita ancora sotto i passi dolciastri
Di un potere senza patente.
Annaffiamo le piante con perizia ora.
Abbiamo vinto i mondiali ancora una volta.
Viva l’Italia ancora una volta.
La bandiera della nostra gioventù
E’ rimasta nelle catacombe del niente.
Siamo stati cattivi forse
Sicuramente senza essere dei maestri.
Avevamo ragione comunque
Perché dovevamo vivere
In qualche modo dovevamo
Anche noi i sopravvissuti.

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Vestito con le stampelle a festa
Giro intorno a questo porco mondo
Giro giro in tondo.
La veduta si annebbia.
Tutti giù per terra.
Una prece e una stampella non si negano a nessuno.
Bofonchiò il bagnino dell’altoforno con la brocca rotta.

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