AG.RF.(Claudio Peretti).25.03.2016
“riverflash” – Premetto che quanto dirò in questo articolo è molto sconcertante e provocatorio, vi prego di non avervene a male, tratto solo di una possibilità che, molto probabilmente nessuno adotterà nel prossimo quinquennio, ma che poi dovrà essere percorsa volenti o nolenti, per non andare in completa rovina. Quanti disoccupati ci sono oggi in Italia? Quanti giovani senza lavoro? Quanti cinquantenni hanno perso il lavoro e non ne trovano un altro? Quanti migranti – clandestini sono pagati e mantenuti senza fare nulla? Non sarebbe meglio far fare loro qualche lavoro, anche sottopagato? Perché non applichiamo al lavoro le regole del libero mercato? Nel senso che l’offerta e la domanda possano trovare un equilibrio naturale, senza tanti protezionismi, regole e sindacati che ci si mettono di mezzo? Il problema del lavoro in Italia si risolve in un solo modo: liberalizzandolo. Le regole fin qui fatte sono vecchie, non possono essere usate in questo periodo di globalizzazione, di concorrenza internazionale, di migrazioni di massa e di politica internazionale. Le regole italiane sul lavoro sono state fatte dal 1960 in poi, quando il lavoro si stava sviluppando e le imprese e gli impresari avrebbero potuto approfittare della mano d’opera operaia, allora scarsa. Oggi il rapporto fra domanda ed offerta si è invertito, l’offerta è tanta ma la domanda di lavoro qui in Italia scarseggia per via dell’offerta di paesi come Cina, India, Sud Est Asiatico ecc. dove le regole per la salvaguardia dei diritti dei lavoratori e dell’ambiente non esistono. Il lavoro, là, costa molto meno, non solo per le tasse, ma anche per tutti quei balzelli e parassiti che si accalcano qui da noi su chi offre lavoro: INPS, INAIL e sindacati. Non sarebbe molto più facile eliminare tutto e tornare ad un semplice rapporto individuale fra chi ha bisogno di lavoro e chi lo può offrire? Pensate un po’: io sono un’impresa, senza bisogno di contratti nazionali dei chimici e dei metalmeccanici, senza bisogno di INPS, senza bisogno di INAIL, senza bisogno di sindacati, offro lavoro quando ne ho necessità, poi, quando la necessità cessa, basta, i lavoratori troveranno un’altra impresa che ne avrà bisogno. Così come siamo ridotti ora, se un’impresa non ha più lavoro perché: non vende più, perché i suoi prodotti sono troppo cari per via delle tasse, perché il costo del lavoro è troppo caro per via di tutte le regole di tutela ambientale, di sicurezza dei lavoratori, dello smaltimento delle scorie, delle visite mediche che sono obbligatorie per i lavoratori e chi più ne ha più ne metta, bene, quell’impresa è costretta a tirare avanti con la cassa integrazione, con i sussidi statali, fino a quando non fallisce miseramente…. OK, direte voi, e sono perfettamente d’accordo, ma tutte queste cose sono state conquistate con dure lotte sindacali negli ultimi 50 anni, con scioperi, lacrime e sangue, ed ora dovremmo rinunciarvi? No, non rinunciamo, continuiamo così… La concorrenza dei paesi emergenti ci farà a pezzi, là non esistono tutte queste regole, non esiste il sindacato, non esistono INPS ed INAIL, non esistono i magistrati del lavoro. Il costo del lavoro in Cina è 25 volte più basso di quello europeo, in India, che è la più grande democrazia del mondo, 20 volte più basso della media europea: come potremmo cavarcela? Le scelte sono solo due: o rinunciamo a tutti i diritti acquisiti con 50 anni di lotte sindacali o rinunciamo al lavoro: “tertium non datur”. A noi la scelta, che, se fossimo saggi, a questo punto dovrebbe essere per il male minore, visto che il bene qui non c’è proprio.
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Capasso dice:
Pubblicato il 07-08-2016 alle 14:46
Naturalmente rinunciando anche alle superpensioni acquiste nelle amministrazioni pubbliche e ponendovi un tetto molto in basso, sempre per salvare la Patria. Giusto ing. Peretti?