13 Mag 2013
COLOMBATTO: UN PAESE NON È MAI USCITO DALLA CRISI ATTRAVERSO LA TASSAZIONE
(Intervista esclusiva di riverflash) – Enrico Colombatto, ordinario di Politica Economica all’Università di Torino nonché direttore di ricerca presso l’Istituto di Ricerche Economico-Fiscali di Parigi, ha redatto e firmato un manifesto insieme a Giuseppe Eusepi, docente di Scienza delle Finanze presso la Facoltà di Economia della Sapienza Università di Roma, nel quale si affermava che il consolidamento totale del debito pubblico italiano – in sostanza, la bancarotta — fosse l’unica strada percorribile per evitare guai peggiori.
Il professor Colombatto ha accettato di rispondere ad alcune nostre domande sulla lunga crisi che affligge il sistema capitalistico occidentale, non solo il nostro Paese.
– Nel suo manifesto «Firmare per il Fallimento dell’Italia», scritto insieme a Giuseppe Eusepi, viene citato il fallimento dell’Italia avvenuto nel 2011 e sventato dalle tasse di Monti, oltre che dall’intervento della BCE. È sempre convinto della soluzione che espone nel manifesto? All’Italia conviene il default? Con quali conseguenze?
“Se domani fossimo in grado di realizzare riforme strutturali e modificare radicalmente l’attuale contesto economico, probabilmente cambierei idea. Temo però che tali riforme non avverranno nell’immediato. Quindi sono dell’avviso che prima si chiude e meno durerà l’agonia”.
– L’Argentina dichiarò fallimento, ma non è riuscita a risollevarsi?
“Quando dichiarò fallimento, l’Argentina attraversò un periodo di crescita positiva, ma non fece le necessarie riforme strutturali. Se non avessero dichiarato fallimento, gli argentini avrebbero patito sofferenze ancora più acute ”.
– Quale potrebbe essere la strada per uscire dalla crisi?
“Privatizzare i beni in possesso dello Stato costituendo un fondo in cui far confluire il patrimonio pubblico, le cui quote saranno assegnate ai detentori dei titoli del debito pubblico italiano, in proporzione alle quote di debito pubblico in loro possesso”.
– Chi dovrà sopportare le conseguenze di un eventuale default dell’Italia?
“Chi si è esposto prestando soldi a un cliente poco affidabile, cioè lo stato italiano. Se si commettono errori non si può chiedere ad altri di porvi rimedio”.
– Calo consumi record a marzo del 3,4% (dati Confcommercio). A suo parere i provvedimenti del governo Monti hanno messo definitivamente in ginocchio l’Italia? Più che un premier per il rilancio Monti è apparso come un curatore fallimentare preoccupato solo di trovare risorse per pagare i debiti con l’estero.
“Un Paese non è mai uscito dalla crisi attraverso la tassazione. Invece di aumentare le imposte serve una riforma strutturale e una drastica riduzione del peso dello stato nella vita dei cittadini. Abbiamo complicato il mondo con burocrazia e regole, tasse e sprechi vari invece di semplificarlo”.
– Il 6 maggio è circolata la notizia secondo cui la ripresa economica in Italia non avverrà entro il 2014. Una notizia drammatica. Secondo lei è un timore fondato che ciò avvenga?
“È fondato e non sorprende nessuno. Oggi non vi sono le premesse per un ripresa. Per crescere occorre investire e al momento attuale non sembra che gli investitori siano ansiosi di creare nuove iniziative produttive nel nostro paese”.
– Quanto potrebbe durare l’attuale governo a guida Enrico Letta? Riuscirà a fare le riforme (elettorale, costituzionale)? La durata del governo è condizionata da Silvio Berlusconi?
“Gli italiani non danno fiducia a un governo che non spiega come coprire un buco da 8 miliardi ed è sostanzialmente silenzioso sulle riforme strutturali. Potrebbe esserci l’accordo per varare una nuova legge elettorale e un nuovo sistema giudiziario, ma non credo che riusciranno a fare molto di più.”.
– Quando e per quali motivi, a suo avviso, è nata la crisi economica del mondo occidentale?
“Il declino parte da lontano, dopo la Prima Guerra Mondiale. Da allora l’invadenza del pubblico sul privato è cresciuta costantemente. Gli individui hanno perso il senso della responsabilità individuale, e lo spirito imprenditoriale è stato spesso mortificato da un sistema di regolamentazione pesante, una tassazione oppressiva e un sistema giudiziario inadeguato”.
– Quindi la crisi non è figlia della caduta delle Torri Gemelle di New York?
“Le Torri Gemelle c’entrano pochino”.
– La caduta del muro di Berlino e lo sfaldamento dell’URSS come hanno influito sull’economia italiana?
“Non credo abbia influito sulla crisi italiana; al più hanno creato opportunità che, tuttavia, abbiamo sfruttato solo parzialmente”.
– Nel settore manifatturiero, ad esempio, c’è stata la forte concorrenza dei Paesi post comunisti a far perdere posti di lavoro?
“Si sono persi posti di lavoro, perché gli Italiani non sono stati disposti a misurarsi sul terreno della concorrenza di prezzo e non sono stati in grado di – o non hanno considerato opportuno – rispondere con aumenti di produttività. Tuttavia, non si dimentichi che la globalizzazione ha favorito i consumatori, che ora possono comprare scarpe e camicie a prezzi dimezzati. Il mondo va avanti, non possiamo fermarlo. Anche i fabbricanti di carrozze hanno dovuto chiudere, lamentandosi, con l’avvento delle automobili. Lo stesso è successo a chi fabbricava lampade ad olio, quando furono inventate le lampadine elettriche, o a chi produce macchine da scrivere e calcolatrici, in seguito all’avvento dei computer”.
– Il Regno Unito non è entrato nella moneta unica europea. Scelta indovinata?
“Non ho mai pensato che l’euro avrebbe risolto per incanto i nostri problemi, né ho mai pensato che la BCE sarebbe stata un esempio di virtù. Non mi stupisce che gli Inglesi abbiano avuto gli stessi dubbi e abbiano preferito tenersi la Bank of England”.
di Stefano Celestri (AG.RF 11.05.2013)