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Case popolari: “La legge non è uguale..per chi finisce al telegiornale”

di Francesca Romana D’Andrea

(riverflash) – E così la famiglia marocchina che pochi giorni fa era stata cacciata dal quartiere San Basilio, dai residenti stessi dello stabile popolare, pare abbia ottenuto in tempi record una nuova casa, giusto anzi giustissimo.

Ancor più giusto il loro rifiuto, terrorizzati di dover condurre una vita quotidiana fatta di minacce, insulti e cattiveria gratuita.

La sindaca Raggi è intervenuta velocissimamente sulla questione.

Ora la domanda è una e una soltanto ma fondamentale, lo stesso trattamento viene riservato per ogni famiglia che si ritrova costretta a rifiutare un alloggio popolare per paura di abitare in un quartiere pericoloso?

La risposta è no!

Nessuno può permettersi di rifiutare un’assegnazione se non per motivi specifici che non comprendono ovviamente la paura di uscire di casa.

La colpa non è del quartiere assegnato o degli alloggi popolari ma della difficoltà che li circonda, la colpa è forse quella di aver creato fin dalle prime costruzioni, dai primi progetti, punti di aggregazione enormi dove all’interno sono rinchiusi diversi cittadini che hanno avuto a che fare con la giustizia, con la droga, disoccupati, abbandonati dalla società, famiglie in gravi difficoltà economiche, disabili, ragazze madri, vedovi anziani, extracomunitari.

Attenzione, queste parole non vogliono discriminare quella grande fetta di Roma che vive in ambienti popolari ma anzi, si vorrebbe riuscire a sottolineare l’abbandono che subiscono quotidianamente in condizioni spesso inumane.

Vorrei poter sentir parlare di progetti mirati a migliorare questa realtà, di palazzi con un aspetto diverso, di sicurezza, di architetture simili a quelle presenti in un quartiere “normale” di Roma, vorrei poter regalare ad un’amica, ad una sorella, ad una collega, la dignità di non dover essere riconosciuta diversa da qualsiasi altro, perché vive in un palazzo popolare ma finora si è riusciti solo ad etichettare determinate realtà.

E’ inutile mentire, escludendo quelle del centro, le case popolari si riconoscono a distanza di chilometri, per i colori, per l’altezza dei palazzi, per il grigiore spesso assegnato.

Si riconoscono perché non c’è manutenzione, ci sono pochissimi progetti per rinnovare le strutture, le strade, le scuole, le palestre, i parchi.

Ventitremila famiglie in lista d’attesa ogni anno, molte delle quali rifiutano anche dopo aver atteso più di 10 anni e spesso non per mancata necessità ma per un istinto forte, come la paura.

E allora servirebbe forse cercare di ottenere un servizio al telegiornale per farsi notare, per riuscire ad entrare in una casa che sappia di casa.

La gestione delle case popolari crea acqua da tutte le parti e con essa è compresa la scarsa trasparenza nelle modalità di assegnazione degli alloggi, come se non bastasse, sia il Comune che la Regione si ritrovano periodicamente protagonisti di un tema spinoso come quello riguardante l’assegnazione di case a prezzi stracciati per chi non ne ha alcun diritto.

Potremo ritenere questi articoli un domani, frutto di un ricordo di una Roma sbiadita e drasticamente ingiusta?

Io lo spero.

 

cp2

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