di Francesco Angellotti (AG.RF 30.03.2015) ore 11:56
(riverflash) – Anticipando di una mezz’ora, si è avuta l’opportunità all’Auditorium Gazzoli di ascoltare il quintetto Pentarmonia, che ha suonato belle musiche di György Ligeti , autore contemporaneo deceduto nel 2006.
Jona Venturi al flauto, Anna Leonardi all’oboe, Giacomo Poggiani al clarinetto, Letizia Mantovani al corno e Beatrice Baiocco al fagotto si sono esibiti nella composizione Sechs Bogotellen, che per comporla c’è voluto tempo dal 1951 al 1953; però è stata bellissima: tempi brevi e rapidi, ma con la bravura di essere sintetici al massimo nella ricerca delle note, pur ottenendo una Musica Articolata ed espressiva. Interessante l’espressione dei giovani musicisti, che hanno trasmesso un senso emotivo ad ogni tempo molto diverso e particolare; anche se, come Gruppo, ottimi nella sincronia, ancora devono acquistare qualcosa nella correttezza e intonazione del suono, specialmente nei toni alti.
Un attimo di pausa, tutti in attesa del Sestetto d’Archi, che dicono della Toscana, ma ci si è infilata una tedesca di mezzo e, per la verità, ne è valsa la pena.
Invece si è voluto presentare, prima, un preambolo che preparasse al contenuto musicale che ci si apprestava ad ascoltare. E’ arrivato, quindi, Leonardo Previero, autore del libro “Cajkovkij a Firenze, storia di un’anima”. Questo preambolo è stato annunciato brevissimo, i particolari da trattare per far capire meglio la storia si assommavano da rendere l’intervento lunghissimo; è dispiaciuto moltissimo giungere alla fine del racconto, colorito ed appassionante. Pare a dire una trama inerente un Grande Compositore Musicale, ma potrebbe essere benissimo un trattato di psicologia, e di questo me ne potrà dar conferma il dott. Codispoti; ma non era presente e me ne dispiace: pazienza. Però la storia raccontata, con un’attenta ricerca che non so com’è potuta avvenire, ha messo in luce un personaggio, riuscito e benestante, che era un esempio dell’Insoddisfatto, tra il nevrotico e lo schizzoide.
Ma Cajkovskij non credo fosse niente di tutto questo; era un Artista, e come tale sempre insoddisfatto dell’Arte, di cui ammirava gli esempi, ma trovava ci fosse dell’ “oltre” in quello che riusciva a comporre Lui. E tutto aveva un riflesso determinante nell’espressione personale. Legato e radicato alla sua Russia, di cui sentiva forte il messaggio culturale, cercava posti e luoghi ove trovare espressione dell’Arte, che prendesse spunto dal sentimento. Manco a dirlo, 5 volte è stato in Italia, e la sua esperienza Fiorentina, quando ormai era già maturo, è stata impetuosa. Il contatto avuto con Nadeshna, russa anche lei ma partita per Firenze, appare incomprensibile per la sua astrazione, ma è invece normalissimo, per una persona che cercava sentimento, al di sopra del bene e del male (come si diceva allora). Non so quanto possa aver influito il precedente rapporto matrimoniale con una sua allieva, esperienza comunque gravissima nella sua psiche. Ma questo amore ancestrale, puramente platonico (quindi era già stato definito qualche anno prima), è stato sentito intenso per anni a Firenze, ed è terminato per allentamento dei contatti da parte della sig.ra Nadeshna, e Pëtr Il’ic ha subito un trauma che lo ha portato sul limite dell’allucinazione.
Invece io direi che il suo sentimento si è così violentato, che le sue sensazioni hanno cominciato a cercare un’espressione forte, com’è forte la disgrazia della Vita, a cui manca e mancherà sempre appagamento e completezza.
Significativo, ancora, il fatto che ritenesse i Capolavori di Giotto belli, ma non all’altezza di tante Icone che ammirava in Russia. Ed a Firenze camminava solo, cercando l’Arte nelle vie, nei palazzi, nei ponti sull’Arno, nei mercati, nella gente che passava, nell’umanità aleggiante, nei suoni dell’ambiente, nei ritmi cantati dai venditori ambulanti: la storia di Vincenzo è troppo lunga per raccontarla; ma, se leggete il libro suddetto, capirete di più di quel che avete trovato sull’enciclopedia riguardo Cajkovskij: è una storia passionale piena d’Amore, quello vero, inteso da Cajkovskij.
A questo punto, dopo racconto umano appassionante che si sarebbe stati a sentire tutta notte, ecco il Sestetto d’Archi della Toscana. L’attesa palpitava nell’aria, resa così suscettibile da Leonardo Previero. Mi aspettavo un’interpretazione all’altezza dell’ attesa.
Andrea Tacchi e Susanna Pasquariello al violino, Stefano Zanobili e Hildegard Kuen alla viola, Luca Provenzani e Andrea Landi al violoncello sono andati oltre.
Una musica suonata benissimo, con sincronia ed armonia; espressione dei vari momenti emotivi che l’autore trasmetteva. Hai voglia a dire: era un concerto di 4 tempi, tutti “allegro”; sapessi com’è diverso l’allegro con spirito da quello cantabile e con moto, moderato, con brio e vivace. E’ stato questo uno spartito molto meditato; fatta la prima stesura, no buona. Messa da parte, è stata ripresa molto dopo e, sorta all’aria limpida e delicata di Firenze, è stata terminata due anni dopo nell’ambiente imponente e dominante di San Pietroburgo; l’influenza delle due matrici è palese, sempre filtrando il messaggio attraverso la sensibilità dell’Artista, che scartava l’apparenza per dirigersi verso l’Essenza.
Ho voluto complimentarmi con gli Artisti, autore del libro compreso, e mi sono infilato nel retro del palco. Speravo riconoscessero la mia discendenza, dato che sono tutti suonatori di strumenti a corda; timidamente ho detto: “non so se presentarmi a Voi come giornalista o come pronipote di Ferdinando Sacconi”: sono cominciati ad esplodere i botti, scoppiare i petardi, i fuochi d’artificio, suonavano nacchere,grancassa e putipù. Per certi Artisti il caro zio Nando è un personaggio che non si può trascurare, per la sua grandezza e per i suoi studi che lo hanno portato a scoprire il segreto di Stradivari. Mi ricordo quando, nennillo com’ero, lui veniva in Italia (lavorava per casa Würlitz a New York) ed insieme giravamo dai liutai che lo chiamavano per chiedergli giudizi e consigli, mostrando gli Amati, i Guarnieri… mica ce n’erano tanti, ma quei pochi che ho visto… !
Chiedo scusa, è stato solo una forma di saluto a zio Nando, uomo al massimo livello musicale, umile nella sua grandezza, umano profondamente nel suo animo. Lo ricordo che ero bambino, il suo messaggio mai passerà dal mio bagaglio.
Vuoi essere il primo a lasciare un commento per questo articolo? Utilizza il modulo sotto..