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“BOYHOOD”: la recensione

Boyhood-cover-locandina

di Valter Chiappa

AG.R.F. 15/11/2014 (riverflash)

“Adolescenza”: il titolo dice tutto.

Sì, perché “Boyhood” non racconta altro che una normalissima adolescenza.

Lo fa però in modo particolare: le riprese sono difatti durate 12 anni, seguendo ed accompagnando le reali mutazioni degli attori. Il regista, l’americano Richard Linklater, aveva in verità già utilizzato una tecnica simile nella trilogia (“Prima dell’alba”, “Before sunset”, “Before midnight”) in cui, a distanza di vari anni, racconta le vicende di una coppia di fidanzati.

Si potrebbe quindi vedere “Boyhood” come una raccolta di superotto srotolati in sequenza, la cronologia di un’età di uno dei tanti giovani americani. Il regista difatti dichiaratamente vuole che la sua opera si mimetizzi con la vita, fino a costringere la produzione ad un’impresa così avventurosa. Ma il fatto è che quella raccontata sullo schermo non è la vita degli attori, e che quella adolescenza non è quella di Ellar Coltrane e Lorelei Linklater, i giovani protagonisti.

Così la bellezza di “Boyhood” è proprio nella scrittura, nella cura con cui con assoluta verosimiglianza la vita viene raccontata.

Ogni fase della crescita dei ragazzi è trattata in modo aderente ed empatico: dall’età dell’innocenza a quella dei primi tormenti, la scoperta degli ideali e della sessualità, il nascere e l’affermarsi della personalità, le relazioni con gli adulti e con i coetanei, l’amore. Ma altrettanta attenzione è posta nel tracciare la parabola evolutiva degli adulti: il padre, un convincente Ethan Hawke, che da musicista scapestrato diventa serio lavoratore ed adulto responsabile; la madre, la bravissima Patricia Arquette, che combatte con tenacia la battaglia nota a tante donne, contro le difficoltà per l’affermazione nel lavoro, le problematiche nell’educazione dei figli, contro i propri limiti personali (nello specifico nella scelta degli uomini).

L’espediente usato da Linklater indubbiamente funziona: colpisce vedere i bambini allungarsi e sviluppare, diventare uomo e donna; ma fanno effetto anche le rughe che compaiono sul viso della Arquette o i seriosi baffoni del maturo Hawke. Ma ad essere toccante, ed in più momenti, è il racconto della vita, quella che conosciamo, avendola anche noi vissuta; l’emozione provata scorrendo un album di vecchie foto o aprendo una scatola di ricordi.

Essere come la vita, più della vita. Questa è la grande scommessa, vinta, dell’esperimento di Richard Linklater.

Questa è la bellezza di “Boyhood”.

Voto: 7.5

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