AG.RF 02.02.2016 (ore 15:35)
(riverflash) – Scompare il parroco da Stresa nell’ultimo week-end di gennaio e a Milano, negli stessi giorni, la polizia fa irruzione in un appartamento dove un uomo da in escandescenze dopo aver assunto un forte quantitativo di cocaina. Un droga-party a piazza Anghilberto, con polvere bianca sparsa per la casa e le urla di un uomo che hanno fatto pensare a un suicidio.
Che cosa lega la scomparsa del parroco e il droga-party milanese? Il fatto che il parroco e lo spacciatore erano la stessa persona, Don Stefano Maria Cavalletti, 45 anni. Venerdì si era allontanato da Stresa, affascinante cittadina che si affaccia sul lago Maggiore, per celebrare due matrimoni nella chiesa di Carciano, frazione di Stresa. Poi, invece di tornare in parrocchia Don Stefano è andato a Milano, a piazza Anghilberto, dove è stato arrestato su richiesta del pm Cristiana Roveda. Il gip Paolo Guidi ha convalidato l’arresto e ha disposto il trasferimento in carcere del sacerdote. Stefano Maria Cavalletti non era incensurato, ma sulla sua fedina penale c’è un precedente grave. Nel 2013, infatti, ha truffato un’anziana parrocchiana, dalla quale aveva ottenuto il versamento di 22.000 euro sul proprio conto corrente. Nel processo di primo grado era stato condannato a 5 mesi e 10 giorni di reclusione e stando a Don Stefano, quella condanna penale ha incrinato il suo equilibrio psichico. Il sacedote entrò il grave stato depressivo, da cui si sollevò grazie alla cocaina, sostanza che ha innescato in lui la dipendenza.
Viene da chiedersi come sia stato possibile che la Diocesi di Novara abbia assegnato una parrocchia a un uomo accusato di truffa, anche se non confermata dai tre gradi di giudizio. D’accordo che la chiesa cattolica prevede il perdono e non ci sentiamo di infierire su Don Stefano, ma ci sembrava opportuno utilizzarlo in una posizione defilata, come può essere un archivio, invece di essere il punto di riferimento per migliaia di parrocchiani. Quando, inoltre, si commette un reato sul territorio italiano, crediamo che lo status di sacerdote non debba essere un viatico per evitare il carcere. Mandarlo a riflettere in uno sperduto convento non è la stessa cosa del regime carcerario che invece si applica alle altre persone.
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