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Ambientato nel quartiere Coppedè di Roma «Delitto a Villa Fedora», libro di Letizia Triches

(S.C.) – AG.RF 30.11.2019

(riverflash) – Piazza Mincio con la sua fontana delle rane è il cuore del quartiere Coppedè, unico nel suo genere a Roma. Gli edifici, 26 palazzine e 17 villini, sono stati disegnati dallo scultore fiorentino Gino Coppedè e sembrano nascondere una sorta di magia sul tipo dei diavoletti incassati nell’esterno delle chiese gotiche nel nord-est della Francia, dove spicca la cattedrale di Amiens. In uno dei 17 villini Letizia Triches ha ambientato il suo nuovo libro giallo «Delitto a Villa Fedora», con le indagini condotte dal commissario Chantal Chiusano che indaga sulla morte di Liliana Fusco, che sin da giovane fu l’assistente di Alberto Fusco, proprietario del villino, e poi ne sposò il figlio. Nel villino è stato allestito un set cinematografico per il film che dovrebbe raccontare la vita di Alberto Fusco, famoso scenografo scomparso 18 anni prima. La vicenda è collocata nel tempo all’ottobre 1992 e Liliana Fusco era sola a casa. Sono all’incirca le otto e trenta di sera quando il suo corpo viene ritrovato, massacrato con una ferocia inaudita. Alcune stanze della villa sono state messe a soqquadro, ma mancano segni di effrazione. A prima vista non c’erano oggetti di valore da giustificare il furto con omicidio.

Letizia Triches è una storica dell’arte che prova a scavare in menti criminali raffinate, non banali. I suoi primi libri erano ambientati nelle città d’arte, quelle inserite nel Grand Tour, che era una lunga missione nell’Europa continentale intrapresa dai ricchi giovani dell’aristocrazia. Le città sono Firenze «Il Giallo di Ponte Vecchio», Roma «Quel brutto delitto di Campo de’ Fiori», Venezia «I delitti della Laguna» e Napoli «Giallo all’ombra del Vulcano».

In quest’ultimo libro «Delitto a Villa Fedora», Letizia Triches racconta il mondo dei cineasti romani e, di contorno, racconta Roma Nord dove nel quartiere Flaminio vengono citati anche i Fréres, i Fratelli delle Scuole Cristiane dell’Istituto De Merode. Nacque lì la Stella Azzurra, che rappresentava il basket romano ai massimi livelli quando non c’era ancora bisogno di sponsor multinazionali, ma bastava la buona volontà di un gruppetto di religiosi.

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