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“7 MINUTI” – La recensione

13_7 minuti

di Valter Chiappa

(AG.R.F. 19/11/2016)

(riverflash) Una storica industria tessile viene rilevata da una multinazionale francese. Le operaie tremano per il loro futuro. Un consiglio di fabbrica composto da 11 donne è chiamato a valutare la proposta della nuova proprietà, che arriva, sorprendente. L’attività continua, il posto di lavoro è salvo, tranne una richiesta, così irrisoria da sembrare uno scherzo: rinunciare a 7 minuti della pausa pranzo. La firma sembra una formalità. Ma Bianca, la rappresentante più anziana (Ottavia Piccolo) invita le colleghe a riflettere attentamente.

Cosa siamo disposti a fare per lavorare? Intorno a questa domanda ruota tutta la vicenda di “7 minuti”, consumata nello svolgersi drammatico di una discussione a porte chiuse.

Tratto da una piéce teatrale di Stefano Massini, sceneggiatore assieme al regista Michele Placido, “7 minuti” si ispira alla feroce battaglia sindacale realmente combattuta dalle maestranze di una fabbrica di Yssingeaux, in Francia. Placido decide di trasportare la vicenda in una Latina dipinta con la memoria delle architetture fasciste e il grigio sconsolante dei capannoni dismessi, luogo simbolico di una popolazione diventata un coacervo di razze.

11 donne, che, con varie tipologie umane, sono chiamate a rappresentare l’intero corpo dei lavoratori: l’anziana dai valori incrollabili (Ottavia Piccolo) e la giovane che aspetta di comprendere la vita (Erika D’Ambrosio), la giovane straniera che sopporta in silenzio le molestie dal datore di lavoro (Clémence Poésy) e la donna che ha rinunciato alla giustizia per le sue gambe in cambio di un posto da ragioniera (Violante Placido), le immigrate in cerca di pane e dignità, l’albanese, la rumena (Sabine Timoteo), l’africana (Balkissa Maiga), la ragazza che trova sfogo nell’aggressività e nel pugilato (Ambra Angiolini), quella che attende un bambino ed un futuro roseo (Cristiana Capotondi) con la madre disillusa cui restano solo le sigarette (Fiorella Mannoia), la popolana partenopea (Maria Nazionale) cui è invece sufficiente assicurarsi l’oggi.

Michele Placido conferma la sua adesione all’impegno sociale. Al contrario di Ken Loach, che nel contemporaneo “Io, Daniel Blake” agisce sull’emotività più spinta per suscitare l’indignazione, il regista pugliese ritiene necessaria la riflessione e confeziona un film dove, in nome del suo mandato, è disposto a sacrificare la spettacolarità ed anche le sue attrici, vincolate ad un copione stringente (oltre che ad un trucco che ne mortifica il fascino). Ciò nondimeno alcune di loro sanno parzialmente svincolarsene, trovando accenti toccanti, chi utilizzando le rughe ed il mestiere consumato (Ottavia Piccolo, che è anche protagonista dello spettacolo teatrale), chi grazie ad un’interpretazione decisamente sopra le righe (in particolare Sabine Timoteo e Clémence Poésy, donne fragili e fermissime).

Del testo teatrale “7 minuti” conserva la rigorosa architettura: unità di tempo, luogo e d’azione, precisa caratterizzazione dei personaggi, il meccanismo ad orologeria di un ragionamento che si srotola inesorabilmente dall’assurdo fino al verosimile.

Questa costruzione, solida e fortemente cerebrale, costituisce al contempo il punto di forza e la debolezza del film. Una evoluzione controllata e graduale del flusso logico, dialoghi che sembrano seguire una traccia rigidamente segnata, pause atte a creare sospensione, dinamiche che esplodono in funzione di una tesi da dimostrare. Tutto è nella penna dello sceneggiatore e il suo ferreo schema toglie spazio all’emozione.

Ma forse è proprio questa la volontà di Massini: invitare a riflettere, la frase che Bianca ripete ossessivamente alle sue colleghe. È necessario affrancarsi da ogni tipo di trasporto pulsionale, compresi persino quelli dettato dai morsi della fame, dalle richieste dei figli, dalla lecita ambizione ad una serenità minima, per poter comprendere le logiche perverse che, magari impercettibilmente, stritolano quotidianamente i più deboli, li dividono perché non si uniscano, convogliano le loro frustrazioni verso ideali distorti (il razzismo in primis). Cosa siamo disposti a fare per lavorare? Tutto, dice Greta, la pugile, spaccando una bottiglia. E invece è proprio lì che bisogna fermarsi, tirare un respiro.

Tempi difficili. Placido e Massini ci esortano: la lotta non solo operaia, ma di ogni lavoratore non deve morire. E ci ammoniscono: pensare, pensare, pensare. E capire. 7 minuti possono sembrare niente, ma sono vita che si dona e dignità che si perde. Giorno dopo giorno, 7 minuti alla volta.

Voto: 6.5

 

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