di Giulia Cavola (AG.RF.27/02/2015) ore 09:28
La vicenda
L’ultima offensiva del “Califfato islamico” si è scatenata contro le minoranze cristiane di etnia assira nella regione di Al Hasakah, stando al Syrian Observatory for Human Rights. Il Syriac National Council of Syria, che da anni monitora l’escalation di violenza in Siria, riporta che sarebbero almeno duecento le persone rapite. Se è impossibile stabilire il numero esatto degli ostaggi, a tre giorni dall’inizio dell’offensiva si parla già di esecuzioni, stando ad alcuni familiari delle vittime.
La strategia
In mancanza di una rivendicazione, lo scopo dei rapimenti lascia aperte numerose ipotesi. Il gesto sembra essere una diretta risposta alla progressiva presa di controllo della regione da parte di YPG (People Protection’s Units), in collaborazione con la coalizione internazionale anti ISIS a guida USA.
L’imminente attacco a Mosul, capitale dell’IS, non è un mistero e la regione di Al Hasakah rappresenta un punto d’accesso fondamentale al “Califfato”.L’area è infatti vicina alle linee di confine irachene, fondamentali per il controllo del territorio dello Stato Islamico.
Non è da scartare, poi, l’ipotesi economica. Sembrerebbe infatti che l’avanzata curda abbia spezzato una delle sue più importanti linee di rifornimento, proprio quella irachena. Rami Abdulrahman, coordinatore del Syrian Observatory for Human Rights, ha più volte sottolineato come ci siano ormai segni evidenti dello sforzo finanziario del “Califfato”. Con la frontiera turca ormai difficile da attraversare e i pozzi petroliferi al collasso per via dei raid aerei, Isis sta cercando nuove entrate.
Il “Califfato” poi, non ha mai celato la propria strategia di violenza e terrore, ed è esattamente ciò che mira ad ottenere ora. Lo scopo è quello di terrorizzare le famiglie delle vittime. Alcuni parenti hanno infatti raccontato a Reuters come, provando a contattare i propri cari, si siano sentiti rispondere con minacce da parte dei membri di Isis. Ciò porterebbe a scartare l’ipotesi del rapimento al fine di scambio, anche se in altre occasioni gli ostaggi sono stati usati per chiedere la liberazione di miliziani catturati, l’operazione ha più le sembianze di una pulizia etnica. La situazione, infatti, non appare molto diversa da quella dei sunniti, che avevano rifiutato di far parte del “Califfato”, o dei copti cristiani
in Libia, la settimana scorsa.
Le reazioni
La reazione della comunità internazionale è stata già dalle prime ore ferma. Gli Stati Uniti, in particolare hanno condannato i rapimenti di massa e dichiarato l’intenzione di mettere fine a tali pratiche. Anche la dichiarazione del Consiglio di sicurezza dell’Onu è stata forte nel sostenere che
“Crimini di questo tipo dimostrano ancora una volta la brutalità dell’Is, che è responsabile di migliaia di crimini e abusi contro persone di tutte le fedi, etnie e nazionalità e senza riguardo per nessun valore di base di umani”.
Dal mondo cristiano arrivano segnali di paura e sconcerto, perché quello che sta succedendo “è un pericolo per la nostra esistenza”, sostiene Ablahd Kourieh, deputato nel comando di difesa curdo. Secondo quanto rilasciato da Kourieh in un un’intervista con Reuters, il numero complessivo dei
cristiani rapiti sarebbe ancora più alto, tale da mettere a rischio la stessa sopravvivenza della comunità.
I cristiani in Siria rappresentavano, all’inizio della guerra, il 10% della popolazione totale. Ad oggi, non è possibile stimare quanti di loro vivano ancora nel territorio siriano.
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